lunedì 10 giugno 2013
giovedì 23 maggio 2013
sabato 11 maggio 2013
Lo specchio
Nei presentimenti non credo, e i presagi non temo. Non fuggo la calunnia né il veleno, non esiste la morte: immortali siamo tutti, e tutto è immortale. Non si deve temere la morte, né a diciassette né a settant'anni. Esistono solo realtà e luce: le tenebre e la morte non esistono. Siamo tutti ormai del mare su la riva, e io sono tra quelli che traggono le reti, mentre l'immortalità passa di sghembo. Se nella casa vivrete, la casa non crollerà. Un secolo qualsiasi richiamerò, e una casa vi costruirò. Ecco perché, con me, i vostri figli e le vostre donne siederanno alla stessa tavola la stessa per l'avo ed il nipote. Si compie ora, il futuro. E se io una mano levo i suoi cinque raggi rimarranno a voi. Del passato ogni giorno, come una fortezza, io con le spalle ho retto. Da agrimensore ho misurato il tempo, e attraversato io l'ho come gli Urali. Il mio secolo l'ho scelto a mia misura. Andavamo a Sud, sostenendo la polvere della steppa, il fumo delle erbacce. Scherzavano i grilli sfiorando i ferri dei cavalli con le loro antenne, come monaci profeti di sventura. Ma il mio destino fissato avevo alla mia sella, e ancora adesso, nei tempi futuri, come un fanciullo sulle staffe io mi sollevo. La mia immortalità mi basta, ché da secolo in secolo scorre il mio sangue... Per un angolo sicuro di tepore darei la vita di mia volontà qualora la sua cruna alata non mi svolgesse più, come un filo, per le strade del mondo.
Con straordinaria costanza mi capita di fare sempre lo stesso sogno: è come se volesse costringermi a tornare inesorabilmente in quei luoghi a me così dolorosamente cari, ad un tempo dove c’era la casa di mio nonno, nella quale vidi la luce più di 40 anni fa, proprio sulla tavola da pranzo, coperta da una bianca tovaglia inamidata. E, ogni volta che cerco d’entrare nella casa, qualcosa me lo impedisce.
...faccio spesso questo sogno, ci sono abituato. E non appena vedo le pareti di legno scurite dal tempo, e la porta socchiusa che si apre nel buio dell’ingresso, so già, anche nel sonno, che si tratta solo di un sogno, e la mia incontenibile gioia si spegne nell’attesa del risveglio. Talvolta succede qualcosa per cui smetto di sognare la casa, e... e i pini della mia infanzia... Allora mi assale la nostalgia, e io comincio ad aspettare con ansia il ritorno del sogno, nel quale mi vedrò di nuovo bambino e tornerò ad essere felice. Felice perché tutto è davanti a me, e tutto è ancora possibile.
domenica 28 aprile 2013
mercoledì 24 aprile 2013
Radice
Love bade me welcome: yet my soul drew back,
Guilty of dust and sin.
But quick-eyed Love, observing me grow slack
From my first entrance in,
Drew nearer to me, sweetly questioning
If I lacked anything.
"A guest," I answered, "worthy to be here":
Love said, "You shall be he."
"I, the unkind, ungrateful? Ah, my dear,
I cannot look on thee."
Love took my hand, and smiling did reply,
"Who made the eyes but I?"
"Truth, Lord; but I have marred them; let my shame
Go where it doth deserve."
"And know you not," says Love, "who bore the blame?"
"My dear, then I will serve."
"You must sit down," says Love, "and taste my meat."
So I did sit and eat.
martedì 23 aprile 2013
Manifesto per la soppressione dei partiti politici
Simone Weil, 1950
...quasi dappertutto – e anche, di frequente, per problemi
puramente tecnici – l’operazione di
prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si
è sostituita all’operazione del pensiero.
Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli
ambienti politici e si è espansa, attraverso tutto il
paese, alla quasi totalità del pensiero.
Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra,
che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla
soppressione dei partiti politici.
mercoledì 17 aprile 2013
lunedì 15 aprile 2013
lunedì 1 aprile 2013
Quello che m'hai voluto dire è un rifiuto e una liberazione
Mo' volete sapere perché siete assassini? E che v' 'o dico a ffa'? Che parlo a ffa'? Chisto, mo' ce vo, 'o fatto 'e zi' Nicola... parlamme inutilmente..Parlo inutilmente? In mezzo a voi, forse, ci sono anch'io, e non me ne rendo conto. Avete sospettato l'uno dell'altro: 'o marito d' 'a mugliera, 'a mugliera d' 'o marito... 'a zia d' 'o nipote... 'a sora d' 'o frate... Io vi ho accusati e non vi siete ribellati, eppure eravate innocenti tutti quanti... Lo avete creduto possibile. Un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni... il delitto lo avete messo nel bilancio di famiglia! La stima, don Pasqua', la stima reciproca che ci mette a posto con la nostra coscienza, che ci appacia con noi stessi, l'abbiamo uccisa... E vi sembra un assassinio da niente? Senza la stima si può arrivare al delitto. E ci stavamo arrivando. Pure la cameriera aveva sospettato di voi... La gita in campagna, la passeggiata in barca... Come facciamo a vivere, a guardarci in faccia? Aveva ragione a buonanima e zi nicola, avive ragione, zi' Nico'! Nun vulive parla' cchiù... C'aggia ffa', zi' Nico'? Tu che hai campato tanti anni e che avevi capito tante cose, dammi tu nu cunziglio... Dimmi tu: c'aggia ffa'? Parlami tu... (Si ferma perché ode come in lontananza la solita chiacchierata pirotecnica di zi' Nicola, questa volta prolungata e più ritmata) Non ho capito, zi' Nico'! (Esasperato) Zi' Nico', parla cchiù chiaro! (Silenzio. Tutti lo guardano incuriositi). Avete sentito?
Comme, non avete sentito sparare da lontano? Parla più forte zì nicò! Non si capisce. E mo nun ce putimme capì cchiù...Non si capisce..M’ha parlato e nun aggio capito.
giovedì 28 marzo 2013
Mystery of faith
Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia, o più precisamente lo sarebbe senza la distanza che sia pone tra me ed essa a causa della mia imperfezione.
Da anni penso a queste cose con tutta l'intensità d'amore e d'attenzione di cui sono capace.
Questa intensità è miseramente debole, a causa della mia imperfezione, che è molto grande, tuttavia mi sembra che essa cresca sempre di più, e nella misura in cui cresce, i legami che mi uniscono alla fede diventano sempre più forti, sempre più profondamente radicati nel cuore e nell'intelligenza.
Ma nello stesso tempo anche i pensieri che mi allontanano dalla Chiesa acquistano più forza e maggiore chiarezza. Se dunque questi pensieri sono veramente incompatibili con l'appartenenza alla Chiesa, non vedo come potrei evitare di concludere che la mia vocazione è di essere cristiana fuori dalla Chiesa.
I figli di Dio non devono avere quaggiù altra patria che l’universo intero. Con la totalità delle creature ragionevoli che ha contenuto e contiene e conterrà, il nostro amore deve avere la stessa estensione attraverso tutto lo spazio. Ogni qual volta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Crisna, Budda, Il Tao ecc. il Figlio di Dio ha risposto inviandogli lo spirito Santo e lo Spirito Santo ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli luce e nei migliori dei casi la pienezza della luce all’interno di tale tradizione.
Ma personalmente non darei mai neppure venti soldi per un'opera missionaria. Credo che per un uomo cambiare religione sia pericoloso quanto per uno scrittore cambiare lingua. La religione cattolica contiene esplicitamente verità che altre religioni contengono in modo implicito. E, inversamente, altre religioni contengono esplicitamente verità che nel Cristianesimo sono soltanto implicite. Il cristiano meglio istruito può imparare ancora molto sulle cose divine anche da altre tradizioni religiose, sebbene la luce interiore possa anche fargli percepire tutto attraverso la propria tradizione. E tuttavia, se le altre tradizioni sparissero dalla faccia della terra, la perdita sarebbe irreparabile. I missionari ne hanno già fatte sparire troppe.
San Giovanni della Croce paragona la fede a dei riflessi d'argento, ma la verità è l'oro. Le diverse tradizioni religiose autentiche sono differenti riflessi della stessa verità, e forse in ugual misura preziosi. Ma di questo non ci si rende conto, perchè ciascuno vive una sola di queste tradizioni e percepisce le altre dall'esterno.
E' come se due uomini posti in due camere comunicanti, vedendo entrambi il sole attraverso la propria finestra e il muro del vicino illuminato dai raggi, credessero entrambi di essere l'unico a vedere il sole e che l'altro ne riceva soltanto un riflesso.
Poiché in occidente la parola Dio, nel suo significato corrente, disegna una persona, quegli uomini nei quali l’attenzione, la fede e l’amore si applicano quasi esclusivamente al perfetto impersonale di Dio, possono credere e dirsi atei, sebbene l’amore soprannaturale abiti nella loro anima. Costoro sono sicuramente salvati e si riconosce dal loro atteggiamento verso le cose di quaggiù, quelli che possiedono allo stato puro l’amore per il prossimo e l’accettazione dell’ordine del mondo compresa la sventura, costoro sono tutti sicuramente salvati, anche se vivono e muoiono in apparenza atei.
Coloro che posseggono perfettamente queste due virtù, anche se vivono e muoiono atei, sono santi. Quando si incontrano uomini siffatti, è inutile volerli convertire. Essi sono pienamente convertiti, sebbene non in modo visibile; sono stai generati di nuovo a partire dall’acqua e dallo spirito, anche se non sono mai stati battezzati, hanno mangiato il pane della vita, anche se non si sono mai comunicati. Un ateo e un infedele capaci di compassione pura, sono altrettanto vicini a Dio di un cristiano, e quindi lo conoscono altrettanto bene, sebbene la loro conoscenza si esprima con parole diverse, oppure resti muta.
È come se con il tempo si fosse finito per considerare non più Gesù, ma la Chiesa come Dio incarnato quaggiù. La metafora del Corpo mistico funge da ponte tra le due concezioni. Ma c'è una piccola differenza: ed è che Cristo era perfetto mentre la Chiesa è macchiata da numerosi crimini.
La metafora del "velo" o del "riflesso" applicata dai mistici alla fede permette loro di uscire da un tale soffocamento. Essi accettano l'insegnamento della Chiesa, non come se fosse la verità, ma come qualcosa dietro a cui si trova la verità.
Ciò è molto lontano dalla definizione di fede del catechismo del Concilio di Trento. E' come se sotto la medesima denominazione di cristianesimo e all'interno della stessa organizzazione sociale vi fossero due religioni distinte: quella dei mistici, e l'altra.
Io credo che la religione vera sia la prima, e che la confusione tra le due abbia prodotto allo stesso tempo grandi vantaggi e grandi inconvenienti.
Di fatto, i mistici di quasi tutte le tradizioni religiose convergono fin quasi all'identità.
Essi costituiscono la verità di ciascuna.
La contemplazione praticata in India, Grecia, Cina ecc.. è soprannaturale quanto quella dei mistici cristiani. C'è una grandissima affinità tra Platone e per esempio San Giovanni della Croce. Come anche tra la mistica cristiana e il taoismo ecc..
Non c'è alcuna ragione di supporre che dopo un crimine tanto atroce come l'assassinio di un essere perfetto l'umanità sarebbe dovuta diventare migliore e di fatto complessivamente non sembra essere diventata migliore. La Redenzione si trova su un altro piano, un piano eterno.
In generale non vi è alcuna ragione di stabilire un legame tra il grado di perfezione e la cronologia.
Il cristianesimo ha introdotto nel mondo questa nozione di progresso, prima sconosciuta; e tale nozione diventata il veleno del mondo moderno lo ha scristianizzato. Occorre abbandonarla.
Se si vuole trovare l'Eternità occorre disfarsi della superstizione della cronologia.
I misteri della fede non sono un oggetto per l’intelligenza in quanto facoltà che permette di affermare o di negare. Non appartengono all’ordine della verità, ma a un ordine superiore. L’unica parte dell’anima umana capace di un contatto reale con essi è una facoltà di amore soprannaturale. Soltanto questa è pertanto capace di un’adesione nei loro riguardi.
Il ruolo delle altre facoltà dell’anima, a cominciare dall’intelligenza, è soltanto quello di riconoscere che ciò con cui l’amore soprannaturale viene a contatto è reale; che tali realtà sono superiori agli oggetti di loro pertinenza; e di tacere non appena l’amore soprannaturale si desta in modo attuale nell’anima.
La virtù di carità è l’esercizio della facoltà di amore soprannaturale.
La virtù di fede è la subordinazione di tutte le facoltà dell’anima alla facoltà di amore soprannaturale.
La virtù di speranza è un orientamento dell’anima verso una trasformazione dopo la quale essa sarà interamente ed esclusivamente amore.
Per subordinarsi alla facoltà di amore, le altre facoltà devono trovarvi ciascuna il proprio bene; in particolare l’intelligenza, che è la più preziosa dopo l’amore. E le cose stanno effettivamente così.
Quando l’intelligenza torna a esercitarsi di nuovo, dopo aver fatto silenzio per consentire all’amore di invadere tutta l’anima, si trova a possedere più luce di prima, una maggiore attitudine a cogliere gli oggetti, le verità che sono di sua pertinenza.
Non solo: io credo che tali silenzi costituoscano per essa una educazione che non ha equivalenti e le permettano di cogliere verità che altrimenti le resterebbero celate per sempre.
Ci sono verità che sono alla sua portata, che essa può cogliere, ma solo dopo essere passata in silenzio attraverso l’inintelligibile.
Non è questi che Giovanni della Croce intende dire chiamando la fede una notte?
L’intelligenza può riconoscere i vantaggi di questa subordinazione all’amore soltanto per esperienza, a cose fatte. Prima, non ne ha alcun presentimento. Non ha inizialmente alcun motivo ragionevole di accettare questa subordinazione. Cosicchè questa subordinazione è opera soprannaturale che soltanto Dio opera.
L'intelligenza deve esercitarsi in totale libertà, oppure tacere. Nel suo ambito la Chiesa non deve avere nessun diritto di giurisdizione. Ovunque ci sia disagio dell'intelligenza c'è oppressione dell'individuo da parte del sociale, che tende a diventare totalitario. La Chiesa ha stabilito un totalitarismo, così essa oggi non è priva di responsabilità negli attuali avvenimenti.
Quando si fa perfetta attenzione a una musica perfettamente bella (e lo stesso vale per l'architettura, la pittura la scultura ecc..) l'intelligenza non ha al riguardo alcunchè da affermare o da negare. Ma tutte le facoltà dell'anima, compresa l'intelligenza, tacciono e sono sospese all'ascolto. L'ascolto è applicato ad un oggetto incomprensibile ma che racchiude della realtà e del bene. E l'intelligenza che non vi coglie alcuna verità vi trova nondimeno un nutrimento. Io credo che il mistero del bello nella natura e nelle arti (ma soltanto nell'arte di primissimo ordine, perfetta o quasi) sia un riflesso sensibile del mistero della fede.
___________________
estratti sparsi a cura mia da 'Lettera a un religioso' di Simone Weil, del 1951
foto: particolari del cimitero Monumentale di Poggioreale, Napoli
Da anni penso a queste cose con tutta l'intensità d'amore e d'attenzione di cui sono capace.
Questa intensità è miseramente debole, a causa della mia imperfezione, che è molto grande, tuttavia mi sembra che essa cresca sempre di più, e nella misura in cui cresce, i legami che mi uniscono alla fede diventano sempre più forti, sempre più profondamente radicati nel cuore e nell'intelligenza.
Ma nello stesso tempo anche i pensieri che mi allontanano dalla Chiesa acquistano più forza e maggiore chiarezza. Se dunque questi pensieri sono veramente incompatibili con l'appartenenza alla Chiesa, non vedo come potrei evitare di concludere che la mia vocazione è di essere cristiana fuori dalla Chiesa.
I figli di Dio non devono avere quaggiù altra patria che l’universo intero. Con la totalità delle creature ragionevoli che ha contenuto e contiene e conterrà, il nostro amore deve avere la stessa estensione attraverso tutto lo spazio. Ogni qual volta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Crisna, Budda, Il Tao ecc. il Figlio di Dio ha risposto inviandogli lo spirito Santo e lo Spirito Santo ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli luce e nei migliori dei casi la pienezza della luce all’interno di tale tradizione.
Ma personalmente non darei mai neppure venti soldi per un'opera missionaria. Credo che per un uomo cambiare religione sia pericoloso quanto per uno scrittore cambiare lingua. La religione cattolica contiene esplicitamente verità che altre religioni contengono in modo implicito. E, inversamente, altre religioni contengono esplicitamente verità che nel Cristianesimo sono soltanto implicite. Il cristiano meglio istruito può imparare ancora molto sulle cose divine anche da altre tradizioni religiose, sebbene la luce interiore possa anche fargli percepire tutto attraverso la propria tradizione. E tuttavia, se le altre tradizioni sparissero dalla faccia della terra, la perdita sarebbe irreparabile. I missionari ne hanno già fatte sparire troppe.
San Giovanni della Croce paragona la fede a dei riflessi d'argento, ma la verità è l'oro. Le diverse tradizioni religiose autentiche sono differenti riflessi della stessa verità, e forse in ugual misura preziosi. Ma di questo non ci si rende conto, perchè ciascuno vive una sola di queste tradizioni e percepisce le altre dall'esterno.
E' come se due uomini posti in due camere comunicanti, vedendo entrambi il sole attraverso la propria finestra e il muro del vicino illuminato dai raggi, credessero entrambi di essere l'unico a vedere il sole e che l'altro ne riceva soltanto un riflesso.
Poiché in occidente la parola Dio, nel suo significato corrente, disegna una persona, quegli uomini nei quali l’attenzione, la fede e l’amore si applicano quasi esclusivamente al perfetto impersonale di Dio, possono credere e dirsi atei, sebbene l’amore soprannaturale abiti nella loro anima. Costoro sono sicuramente salvati e si riconosce dal loro atteggiamento verso le cose di quaggiù, quelli che possiedono allo stato puro l’amore per il prossimo e l’accettazione dell’ordine del mondo compresa la sventura, costoro sono tutti sicuramente salvati, anche se vivono e muoiono in apparenza atei.
Coloro che posseggono perfettamente queste due virtù, anche se vivono e muoiono atei, sono santi. Quando si incontrano uomini siffatti, è inutile volerli convertire. Essi sono pienamente convertiti, sebbene non in modo visibile; sono stai generati di nuovo a partire dall’acqua e dallo spirito, anche se non sono mai stati battezzati, hanno mangiato il pane della vita, anche se non si sono mai comunicati. Un ateo e un infedele capaci di compassione pura, sono altrettanto vicini a Dio di un cristiano, e quindi lo conoscono altrettanto bene, sebbene la loro conoscenza si esprima con parole diverse, oppure resti muta.
È come se con il tempo si fosse finito per considerare non più Gesù, ma la Chiesa come Dio incarnato quaggiù. La metafora del Corpo mistico funge da ponte tra le due concezioni. Ma c'è una piccola differenza: ed è che Cristo era perfetto mentre la Chiesa è macchiata da numerosi crimini.
La metafora del "velo" o del "riflesso" applicata dai mistici alla fede permette loro di uscire da un tale soffocamento. Essi accettano l'insegnamento della Chiesa, non come se fosse la verità, ma come qualcosa dietro a cui si trova la verità.
Ciò è molto lontano dalla definizione di fede del catechismo del Concilio di Trento. E' come se sotto la medesima denominazione di cristianesimo e all'interno della stessa organizzazione sociale vi fossero due religioni distinte: quella dei mistici, e l'altra.
Io credo che la religione vera sia la prima, e che la confusione tra le due abbia prodotto allo stesso tempo grandi vantaggi e grandi inconvenienti.
Di fatto, i mistici di quasi tutte le tradizioni religiose convergono fin quasi all'identità.
Essi costituiscono la verità di ciascuna.
La contemplazione praticata in India, Grecia, Cina ecc.. è soprannaturale quanto quella dei mistici cristiani. C'è una grandissima affinità tra Platone e per esempio San Giovanni della Croce. Come anche tra la mistica cristiana e il taoismo ecc..
Non c'è alcuna ragione di supporre che dopo un crimine tanto atroce come l'assassinio di un essere perfetto l'umanità sarebbe dovuta diventare migliore e di fatto complessivamente non sembra essere diventata migliore. La Redenzione si trova su un altro piano, un piano eterno.
In generale non vi è alcuna ragione di stabilire un legame tra il grado di perfezione e la cronologia.
Il cristianesimo ha introdotto nel mondo questa nozione di progresso, prima sconosciuta; e tale nozione diventata il veleno del mondo moderno lo ha scristianizzato. Occorre abbandonarla.
Se si vuole trovare l'Eternità occorre disfarsi della superstizione della cronologia.
I misteri della fede non sono un oggetto per l’intelligenza in quanto facoltà che permette di affermare o di negare. Non appartengono all’ordine della verità, ma a un ordine superiore. L’unica parte dell’anima umana capace di un contatto reale con essi è una facoltà di amore soprannaturale. Soltanto questa è pertanto capace di un’adesione nei loro riguardi.
Il ruolo delle altre facoltà dell’anima, a cominciare dall’intelligenza, è soltanto quello di riconoscere che ciò con cui l’amore soprannaturale viene a contatto è reale; che tali realtà sono superiori agli oggetti di loro pertinenza; e di tacere non appena l’amore soprannaturale si desta in modo attuale nell’anima.
La virtù di carità è l’esercizio della facoltà di amore soprannaturale.
La virtù di fede è la subordinazione di tutte le facoltà dell’anima alla facoltà di amore soprannaturale.
La virtù di speranza è un orientamento dell’anima verso una trasformazione dopo la quale essa sarà interamente ed esclusivamente amore.
Per subordinarsi alla facoltà di amore, le altre facoltà devono trovarvi ciascuna il proprio bene; in particolare l’intelligenza, che è la più preziosa dopo l’amore. E le cose stanno effettivamente così.
Quando l’intelligenza torna a esercitarsi di nuovo, dopo aver fatto silenzio per consentire all’amore di invadere tutta l’anima, si trova a possedere più luce di prima, una maggiore attitudine a cogliere gli oggetti, le verità che sono di sua pertinenza.
Non solo: io credo che tali silenzi costituoscano per essa una educazione che non ha equivalenti e le permettano di cogliere verità che altrimenti le resterebbero celate per sempre.
Ci sono verità che sono alla sua portata, che essa può cogliere, ma solo dopo essere passata in silenzio attraverso l’inintelligibile.
Non è questi che Giovanni della Croce intende dire chiamando la fede una notte?
L’intelligenza può riconoscere i vantaggi di questa subordinazione all’amore soltanto per esperienza, a cose fatte. Prima, non ne ha alcun presentimento. Non ha inizialmente alcun motivo ragionevole di accettare questa subordinazione. Cosicchè questa subordinazione è opera soprannaturale che soltanto Dio opera.
L'intelligenza deve esercitarsi in totale libertà, oppure tacere. Nel suo ambito la Chiesa non deve avere nessun diritto di giurisdizione. Ovunque ci sia disagio dell'intelligenza c'è oppressione dell'individuo da parte del sociale, che tende a diventare totalitario. La Chiesa ha stabilito un totalitarismo, così essa oggi non è priva di responsabilità negli attuali avvenimenti.
Quando si fa perfetta attenzione a una musica perfettamente bella (e lo stesso vale per l'architettura, la pittura la scultura ecc..) l'intelligenza non ha al riguardo alcunchè da affermare o da negare. Ma tutte le facoltà dell'anima, compresa l'intelligenza, tacciono e sono sospese all'ascolto. L'ascolto è applicato ad un oggetto incomprensibile ma che racchiude della realtà e del bene. E l'intelligenza che non vi coglie alcuna verità vi trova nondimeno un nutrimento. Io credo che il mistero del bello nella natura e nelle arti (ma soltanto nell'arte di primissimo ordine, perfetta o quasi) sia un riflesso sensibile del mistero della fede.
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estratti sparsi a cura mia da 'Lettera a un religioso' di Simone Weil, del 1951
foto: particolari del cimitero Monumentale di Poggioreale, Napoli
A cercare fratelli
Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo….La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per venti trent’anni non è più cambiata: non dico i suoi valori — che sono una parola troppo alta e ideologica per quello che voglio semplicemente dire — ma le apparenze parevano dotate del dono dell’eternità: si poteva appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione, ché tanto quella meravigliosa cosa che era la forma della vita, non sarebbe cambiata. Ci si poteva sentire eroi del mutamento e della novità, perché a dare coraggio e forza era la certezza che le città e gli uomini, nel loro aspetto profondo e bello, non sarebbero mai mutati: sarebbero giustamente migliorate soltanto le loro condizioni economiche e culturali, che non sono niente rispetto alla verità preesistente che regola meravigliosamente immutabile i gesti, gli sguardi, gli atteggiamenti del corpo di un uomo o di un ragazzo.
La gente indossava vestiti rozzi e poveri (non importava che i calzoni fossero rattoppati, bastava che fossero puliti e stirati);
i ragazzi erano tenuti in disparte dagli adulti, che provavano davanti a loro quasi un senso di vergogna per la loro svergognata virilità nascente, benché così piena di pudore e di dignità, con quei casti calzoni dalle saccocce profonde; e i ragazzi, obbedendo alla tacita regola che li voleva ignorati, tacevano in disparte, ma nel loro silenzio c’era una intensità e una umile volontà di vita (altro non volevano che prendere il posto dei loro padri, con pazienza), un tale splendore di occhi, una tale purezza in tutto il loro essere, una tale grazia nella loro sensualità, che finivano col costituire un mondo dentro il mondo, per chi sapesse vederlo. È vero che le donne erano ingiustamente tenute in disparte dalla vita, e non solo da giovinette. Ma erano tenute in disparte, ingiustamente, anche loro, come i ragazzi e i poveri. Era la loro grazia e la loro umile volontà di attenersi a un ideale antico e giusto, che le faceva rientrare nel mondo, da protagoniste.
Perché cosa aspettavano, quei ragazzi un po’ rozzi, ma retti e gentili, se non il momento di amare una donna? La loro attesa era lunga quanto l’adolescenza — malgrado qualche eccezione ch’era una meravigliosa colpa — ma essi sapevano aspettare con virile pazienza: e quando il loro momento veniva, essi erano maturi, e divenivano giovani amanti o sposi con tutta la luminosa forza di una lunga castità, riempita dalle fedeli amicizie coi loro compagni.
La naturale sensualità, che restava miracolosamente sana malgrado la repressione, faceva sì che essi fossero semplicemente pronti a ogni avventura, senza perdere neanche un poco della loro rettitudine e della loro innocenza.
Anche i ladri e i delinquenti avevano una qualità meravigliosa: non erano mai volgari. Erano come presi da una loro ispirazione a violare le leggi, e accettavano il loro destino di banditi, sapendo, con leggerezza o con antico sentimento di colpa, di essere in torto contro una società di cui essi conoscevano direttamente solo il bene, l’onestà dei padri e delle madri: il potere, col suo male, che li avrebbe giustificati, era così codificato e remoto che non aveva reale peso nella loro vita.
Ora che tutto è laido e pervaso da un mostruoso senso di colpa — e i ragazzi brutti, pallidi, nevrotici, hanno rotto l’isolamento cui li condannava la gelosia dei padri, irrompendo stupidi, presuntuosi e ghignanti nel mondo di cui si sono impadroniti, e costringendo gli adulti al silenzio o all’adulazione — è nato uno scandaloso rimpianto; quello per l’Italia fascista o distrutta dalla guerra.
p.p.p. 72'
martedì 19 marzo 2013
'A vita soja
Carmè, m'alluntano pe mo
m'alluntano pecchè faccio chello che vvuò
ma cchiù 'ttarde ce avimma verè
nu mumento ma t'aggia parlà
cu martiteto nun ce pensà
tutto manca, ragiona cu me
io vengo oggi e tu oggi m'e 'a di'
ca st'ammore mai fine avarrà
ca si' 'a mia pure a costo 'e murì
perchè sulo nun pozzo campà
io vengo oggi pe sentirte 'e di'
ca si' 'a mia pure a costo 'e murì
m'alluntano pecchè faccio chello che vvuò
ma cchiù 'ttarde ce avimma verè
nu mumento ma t'aggia parlà
cu martiteto nun ce pensà
tutto manca, ragiona cu me
io vengo oggi e tu oggi m'e 'a di'
ca st'ammore mai fine avarrà
ca si' 'a mia pure a costo 'e murì
perchè sulo nun pozzo campà
io vengo oggi pe sentirte 'e di'
ca si' 'a mia pure a costo 'e murì
in una pagina a caso un mucchio di foto
1 Oh Signore, quanto sono amabili le tue dimore,
2 L'anima mia langue e vien meno,
sospirando i cortili del SIGNORE;
il mio cuore e la mia carne mandano grida di gioia al Dio vivente.
3 Anche il passero si trova una casa
e la rondine un nido dove posare i suoi piccini...
I tuoi altari, oh SIGNORE,
Dio mio!...
4 Beati quelli che abitano nella tua casa
e ti lodano sempre
2 L'anima mia langue e vien meno,
sospirando i cortili del SIGNORE;
il mio cuore e la mia carne mandano grida di gioia al Dio vivente.
3 Anche il passero si trova una casa
e la rondine un nido dove posare i suoi piccini...
I tuoi altari, oh SIGNORE,
Dio mio!...
4 Beati quelli che abitano nella tua casa
e ti lodano sempre
martedì 12 marzo 2013
lunedì 11 marzo 2013
Videant
Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi omaggio alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero don Raimondo di Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati
Mystic Weil
Dio pena, attraverso lo spessore infinito del tempo e della specie, per raggiungere l'anima e sedurla. Se essa si lascia strappare, anche solo per un attimo, un consenso puro e intero, allora Dio la conquista. E quando sia divenuta cosa interamente sua, l'abbandona. La lascia totalmente sola. Ed essa a sua volta, ma a tentoni, deve attraversare lo spessore infinito del tempo e dello spazio alla ricerca di colui ch'essa ama. Così l'anima rifà in senso inverso il viaggio che Dio ha fatto verso di lei. E ciò è la croce
sabato 16 febbraio 2013
'ngopp a chisti scogli
chesta rena nera l'aggio vista già
è stato quanno è stato 'o ffuoco
tant'anne fa
'o ttengo dint' 'e scarpe chiuse
volle coce è comm'a pece
abbrucia però male nun fa
rena nera
abbascio 'o ranatiello 'o mare stà
dint' all'acqua stong'asciutto
a lengua 'e fuoco nun m'acchiappa
rena nera
che ne sai..
luna chiena. pace e bene
tu le vist'comm'tremma 'a terra sotto 'e pier'
e se ne vene e se ne va
e 'o ffuoco fa ballà pure sti scogli
tu luna cu sta luce me cummuogli
luna chiara
me puorte fino addò fernesce 'a rena
me spuoglie fino a quanno vir'sul'ò bene
e ridi fino a quanno 'a luna nera more
oh luna astrignime e puortame cu te
rena nera
chesta rena nera l'aggio vista già
è stato quanno è stato 'o ffuoco
tant'anne fa
'o ttengo dint' 'e scarpe chiuse
volle coce è comm'a pece
abbrucia però male nun fa
rena nera
abbascio 'o ranatiello 'o mare stà
dint' all'acqua stong'asciutto
a lengua 'e fuoco nun m'acchiappa
rena nera
che ne sai..
luna chiena. pace e bene
tu le vist'comm'tremma 'a terra sotto 'e pier'
e se ne vene e se ne va
e 'o ffuoco fa ballà pure sti scogli
tu luna cu sta luce me cummuogli
luna chiara
me puorte fino addò fernesce 'a rena
me spuoglie fino a quanno vir'sul'ò bene
e ridi fino a quanno 'a luna nera more
oh luna astrignime e puortame cu te
rena nera
Eli, Eli, lama sabactàni
20 Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. 21 Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé».
22 Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». 23 Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana? 24 Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; 25 se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi.26 Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. 27 Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. 28 In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno;29 ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna».30 Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito immondo».
venerdì 8 febbraio 2013
lunedì 4 febbraio 2013
giovedì 31 gennaio 2013
Poste Equitalie
[inferno della burocrazia, della previdenza sociale, delle imposte, controllo para-militare del sistema di riscossione, incubo del sistema giudiziario]
i professionisti dell'antimafia [di leonardo sciascia]
dal Corriere della sera , 10 gennaio 1987
Autocitazioni, da servire a coloro che hanno corta memoria o/e lunga malafede e che appartengono prevalentemente a quella specie (molto diffusa in Italia) di persone dedite all'eroismo che non costa nulla e che i milanesi, dopo le cinque giornate, denominarono «eroi della sesta»:
1) «Da questo stato d'animo sorse, improvvisa, la collera. Il capitano sentì l'angustia in cui la legge lo costringeva a muoversi; come i suoi sottufficiali vagheggiò un eccezionale potere, una eccezionale libertà di azione: e sempre questo vagheggiamento aveva condannato nei suoi marescialli. Una eccezionale sospensione delle garanzie costituzionali, in Sicilia e per qualche mese: e il male sarebbe stato estirpato per sempre. Ma gli vennero nella memoria le repressioni di Mori, il fascismo: e ritrovò la misura delle proprie idee, dei propri sentimenti... Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell'inadempienza fiscale, come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena; e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere le mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto (...), sarebbe meglio se si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuoriserie, le mogli, le amanti di certi funzionari e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso». (II giorno della civetta , Einaudi, Torino, 1961).
2) «Ma il fatto è, mio caro amico, che l'Italia è un così felice Paese che quando si cominciano a combattere le mafie vernacole vuol dire che già se ne è stabilita una in lingua... Ho visto qualcosa di simile quarant'anni fa: ed è vero che un fatto, nella grande e nella piccola storia, se si ripete ha carattere di farsa, mentre nel primo verificarsi è tragedia; ma io sono ugualmente inquieto». (A ciascuno il suo , Einaudi, Torino, 1966).
Il punto focale . Esibite queste credenziali che, ripeto, non servono agli attenti e onesti lettori, e dichiarato che la penso esattamente come allora, e nei riguardi della mafia e nei riguardi dell'antimafia, voglio ora dire di un libro recentemente pubblicato da un editore di Soveria Mannelli, in provincia di Catanzaro: Rubbettino. Il libro s'intitola La mafia durante il fascismo, e ne è autore Christopher Duggan, giovane «ricercatore» dell'Università di Oxford e allievo dì Denis Mack Smith, che ha scritto una breve presentazione del libro soprattutto mettendone in luce la novità e utilità nel fatto che l'attenzione dell'autore è rivolta non tanto alla «mafia in sé» quanto a quel che «si pensava la mafia fosse e perché»: punto focale, ancora oggi, della questione: per chi - si capisce- sa vedere, meditare e preoccuparsi; per chi sa andare oltre le apparenze e non si lascia travolgere dalla retorica nazionale che in questo momento del problema della mafia si bea come prima si beava di ignorarlo o, al massimo, di assommarlo al pittoresco di un'isola pittoresca, al colore locale, alla particolarità folcloristica. Ed è curioso che nell'attuale consapevolezza (preferibile senz'altro - anche se alluvionata di retorica - all'effettuale indifferenza di prima) confluiscano elementi di un confuso risentimento razziale nei riguardi della Sicilia, dei siciliani: e si ha a volte l'impressione che alla Sicilia non si voglia perdonare non solo la mafia, ma anche Verga , Pirandello e Guttuso.
Ma tornando al discorso: non mi faccio nemmeno l'illusione che quei miei due libri, cui i passi che ho voluto ricordare, siano serviti - a parte i soliti venticinque lettori di manzoniana memoria (che non era una iperbole a rovescio, dettata dal cerimoniale della modestia poiché c'è da credere che non più di venticinque buoni lettori goda, ad ogni generazione un libro) - siano serviti ai tanti, tantissimi che l'hanno letto ad apprender loro dolorosa e in qualche modo attiva coscienza del problema: credo i più li abbiano letti, per così dire, «en touriste», allora; e non so come li leggano oggi. Tant'è che allora il «lieto fine» - e se non lieto edificante - era nell'aria, per trasmissione del potere a quella cultura che, anche se marginalmente, lo condivideva: come nel film In nome della legge, in cui letizia si annunciava nel finale conciliarsi del fuorilegge alla legge.
Ed è esemplare la vicenda del dramma La mafia di Luigi Sturzo. Scritto, nel 1900, e rappresentato in un teatrino di Caltagirone, non si trovò, tra le carte di Sturzo, dopo la sua morte, il quinto atto che lo, completava; e lo scrisse Diego Fabbri, volgarmente pirandelleggiando e, con edificante conclusione. Ritrovati più tardi gli abboni di Sturzo per, il quinto atto, si scopriva la ragione per cui la «pièce» era stata dal, suo autore chiamata dramma (il che avrebbe dovuto essere per Fabbri, avvertimento e non a concluderla col trionfo del bene): andava a finir, male e nel male, coerentemente a quel che don Luigi Sturzo sapeva e, vedeva. Siciliano di Caltagirone, paese in cui la mafia allora soltanto, sporadicamente sconfinava, bisogna dargli merito di aver avuto, chiarissima nozione del fenomeno nelle sue articolazioni, implicazioni e, complicità; e di averlo sentito come problema talmente vasto, urgente e, penoso da cimentarsi a darne un «esempio» (parola cara a san Bernardino), sulla scena del suo teatrino. E come poi dal suo Partito Popolare sia, venuta fuori una Democrazia Cristiana a dir poco indifferente al, problema, non è certo un mistero: ma richiederà, dagli storici, un'indagine e un'analisi di non poca difficoltà. E ci vorrà del tempo; almeno quanto ce n'è voluto per avere finalmente questa accurata, indagine e sensata analisi di Christopher Duggan su mafia e fascismo.
Nel primo fascismo. idea, e il conseguente comportamento, che il primo fascismo ebbe nei riguardi della mafia, si può riassumere in una specie di sillogismo: il fascismo stenta a sorgere là dove il socialismo è debole: in Sicilia la mafia è già fascismo. Idea non infondata, evidentemente: solo che occorreva incorporare la mafia nel fascismo vero e proprio. Ma la mafia era anche, come il fascismo, altre cose. E tra le altre cose che il fascismo era, un corso di un certo vigore aveva l'istanza rivoluzionaria degli ex combattenti dei giovani che dal Partito Nazionalista di Federzoni per osmosi quasi naturale passavano al fascismo o al fascismo trasmigravano non dismettendo del tutto vagheggiamenti socialisti ed anarchici: sparute minoranze, in Sicilia; ma che, prima facilmente conculcate, nell'invigorirsi del fascismo nelle regioni settentrionali e nella permissività e protezione di cui godeva da parte dei prefetti, dei questori, dei commissari di polizia e di quasi tutte le autorità dello Stato; nella paura che incuteva ai vecchi rappresentanti dell'ordine (a quel punto disordine) democratico, avevano assunto un ruolo del tutto sproporzionato al loro numero, un ruolo invadente e temibile. Temibile anche dal fascismo stesso che - nato nel Nord in rispondenza agli interessi degli agrari, industriali e imprenditori di quelle regioni e, almeno in questo, ponendosi in precisa continuità agli interessi «risorgimentali» - volentieri avrebbe fatto a meno di loro per più agevolmente patteggiare con gli agrari siciliani e quindi con la mafia. E se ne liberò, infatti, appena, dopo lì delitto Matteotti, consolidatosi nel potere: e ne fu segno definitivo l'arresto di Alfredo Cucco (figura del fascismo isolano, di linea radical-borghese e progressista, per come Duggan e Mack Smith lo definiscono, che da questo libro ottiene, credo giustamente, quella rivalutazione che vanamente sperò di ottenere dal fascismo, che soltanto durante la repubblica di Salò lo riprese e promosse nei suoi ranghi).
Nel fascismo arrivato al potere, ormai sicuro e spavaldo, non è che quella specie di sillogismo svanisse del tutto: ma come il fascismo doveva, in Sicilia, liberarsi delle frange «rivoluzionarie» per patteggiare con gli agrari e gli esercenti delle zolfare, costoro dovevano - garantire al fascismo almeno l'immagine di restauratore dell'ordine - liberarsi delle frange criminali più inquiete e appariscenti.
Le guardie del feudo. E non è senza significato che nella lotta condotta da Mori contro la mafia assumessero ruolo determinante i campieri (che Mori andava solennemente decorando al valor civile nei paesi "mafiosi"): che erano, i campieri, le guardie del feudo, prima insostituibili mediatori tra la proprietà fondiaria e la mafia e, al momento della repressione di Mori, insostituibile elemento a consentire l'efficienza e l'efficacia del patto.
Mori, dice Duggan, «era per natura autoritario e fortemente conservatore», aveva «forte fede nello Stato», «rigoroso senso del dovere». Tra il '19 e il '22 si era considerato in dovere di imporre anche ai fascisti il rispetto della legge: per cui subì un allontanamento dalle cariche nel primo affermarsi del fascismo, ma forse gli valse - quel periodo di ozio - a scrivere quei ricordi sulla sua lotta alla criminalità in Sicilia dal sentimentale titolo di Tra le zagare, oltre che la foschia che certamente contribuì a farlo apparire come l'uomo adatto, conferendogli poteri straordinari, a reprimere la virulenta criminalità siciliana.
Rimasto inalterato il suo senso del dovere nei riguardi dello Stato, che era ormai lo Stato fascista, e alimentato questo suo senso del dovere da una simpatia che un conservatore non liberale non poteva non sentire per il conservatorismo in cui il fascismo andava configurandosi, l'innegabile successo delle sue operazioni repressive (non c'è, nei miei ricordi, un solo arresto effettuato dalle squadre di Mori in provincia di Agrigento che riscuotesse dubbio o disapprovazione nell'opinione pubblica) nascondeva anche il giuoco di una fazione fascista conservatrice e di un vasto richiamo contro altra che approssimativamente si può dire progressista, e più debole.
Sicché se ne può concludere che l'antimafia è stata allora strumento di una fazione, internamente al fascismo, per il raggiungimento di un potere incontrastato e incontrastabile. E incontrastabile non perché assiomaticamente incontrastabile era il regime - o non solo: ma perché talmente innegabile appariva la restituzione all'ordine pubblico che il dissenso, per qualsiasi ragione e sotto qualsiasi forma, poteva essere facilmente etichettato come «mafioso». Morale che possiamo estrarre, per così dire, dalla favola (documentatissima) che Duggan ci racconta. E da tener presente: l'antimafia come strumento di potere. Che può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando.
E ne abbiamo qualche sintomo, qualche avvisaglia. Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi - in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei - come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall'acqua che manca all'immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un'azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno. Ed è da dire che il senso di questo rischio, di questo pericolo, particolarmente aleggia dentro la Democrazia Cristiana: «et pour cause», come si è tentato prima dl spiegare. Questo è un esempio ipotetico.
Ma eccone uno attuale ed effettuato. Lo si trova nel «notiziario straordinario n. 17» (10 settembre 1986) del Consiglio Superiore della Magistratura. Vi si tratta dell'assegnazione del posto di Procuratore della Repubblica a Marsala al dottor Paolo Emanuele Borsellino e dalla motivazione con cui si fa proposta di assegnargliela salta agli occhi questo passo: "Rilevato, per altro, che per quanto concerne i candidati che in ordine di graduatoria precedono il dott. Borsellino, si impongono oggettive valutazioni che conducono a ritenere, sempre in considerazione della specificità del posto da ricoprire e alla conseguente esigenza che il prescelto possegga una specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata in generale e di quella di stampo mafioso in particolare, che gli stessi non siano, seppure in misura diversa, in possesso di tali requisiti con la conseguenza che, nonostante la diversa anzianità di carriera, se ne impone il "superamento" da pane del più giovane aspirante".
Per far carriera. Passo che non si può dire un modello di prosa italiana, ma apprezzabile per certe delicatezze come «la diversa anzianità», che vuoi dire della minore anzianità del dottor Borsellino, e come quel «superamento», (pudicamente messo tra virgolette), che vuoi dire della bocciatura degli altri, più anziani e, per graduatoria, più in diritto di ottenere quel posto. Ed è impagabile la chiosa con cui il relatore interrompe la lettura della proposta, in cui spiega che il dottor Alcamo -che par di capire fosse il primo in graduatoria - è «magistrato di eccellenti doti», e lo si può senz'altro definire come «magistrato gentiluomo», anche perché con schiettezza e lealtà ha riconosciuto una sua lacuna «a lui assolutamente non imputabile»: quella di non essere stato finora incaricato di un processo di mafia. Circostanza «che comunque non può essere trascurata», anche se non si può pretendere che il dottor Alcamo «piatisse l'assegnazione di questo tipo di procedimenti, essendo questo modo di procedere tra l'altro risultato alieno dal suo carattere». E non sappiamo se il dottor Alcamo questi apprezzamenti li abbia quanto più graditi rispetto alta promozione che si aspettava.
I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso. In quanto poi alla definizione di «magistrato gentiluomo», c'è da restare esterrefatti: si vuol forse adombrare che possa esistere un solo magistrato che non lo sia?
lunedì 28 gennaio 2013
«Se ve l'avessi mostrata, replicò Don Chisciotte, che fareste confessando una verità così nota ed evidente? L'importante è che senza vederla, voi lo dovete credere, confessare, affermare, giurare, e difendere, e nel caso in cui non lo facciate...vi aspetto qui a piè fermo, confidando nella ragione che ho dalla mia parte»
Cervantes, Don Chischiotte
Maramè!
"…Che ll'afferra
ca na guerra
ogne tanto s'ha dda fa'?
Forse pe' sfulla ?!
So' 'e putiente,
malamente,
ca cchiù 'a vorza hann'a 'ngrassa',
senz'ave' pietà!
'O prugresso?
More 'o fesso!
Jh che bella civiltà!
Che mudernità!
una è a guerra ca ce spetta
e purtroppo l’amma fa
chella là ca tutte e juorne
se cumbatte pe campà
Marame'! Siente, sie'!
Che battaglia, neh!"
sabato 26 gennaio 2013
Le guerre personali [Pianura, cinque anni dopo la rivolta]
_________________________________________
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_________________________________________- La città nel sacco: i dieci giorni di Pianura - di Marcello Anselmo e Luca Rossomando
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- È stata morta una terra - di Davide Schiavon
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- Biopolitica di un rifiuto, le rivolte antidiscarica a Napoli e in Campania - a cura di Antonello Petrillo
http://www.ombrecorte.it/more.asp?id=212&tipo=culture
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Tumori a Pianura
http://www.youtube.com/watch?v=B6EC9-D_qN8&feature=youtu.be
Nella terra di Gomorra
http://www.youtube.com/watch?v=w2CarU_LhB0
Corteo a Pianura
http://www.youtube.com/watch?v=WOtZHFCkres
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http://www.youtube.com/watch?v=wgFEKghK8G0
Una montagna di balle
http://www.youtube.com/watch?v=c6hRWkU2An8
Biutiful cauntri
http://www.youtube.com/watch?v=M_2mmfF5t5c
Il ministro Balduzzi nella Terra dei fuochi con don Patriciello
http://www.youtube.com/watch?v=jhWaqH9NsgU
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http://www.youtube.com/watch?v=jhWaqH9NsgU
sabato 19 gennaio 2013
un contadino nella metropoli
Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggiava Milano
non fu difficile seguirlo
il poeta della Baggina
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento.
I polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare
i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo
la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista.
La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade.
La domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del tua culpa
affollarono i parrucchieri.
Nell'assolata galera patria
il secondo secondino
disse a "Baffi di Sego" che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l'amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro.
Il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
- voglio vivere in una città
dove all'ora dell'aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo -
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile.
La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
- quant'è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare -.
Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz'oretta poi ci mandarono a cagare
-voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
con i pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l'Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avevate voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo -
La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c'erano segni
di una pace terrificante
dalla bottiglia di orzata
dove galleggiava Milano
non fu difficile seguirlo
il poeta della Baggina
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento.
I polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare
i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo
la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista.
La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade.
La domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del tua culpa
affollarono i parrucchieri.
Nell'assolata galera patria
il secondo secondino
disse a "Baffi di Sego" che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l'amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro.
Il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
- voglio vivere in una città
dove all'ora dell'aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo -
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile.
La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
- quant'è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare -.
Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz'oretta poi ci mandarono a cagare
-voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
con i pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l'Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avevate voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo -
La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c'erano segni
di una pace terrificante
giovedì 10 gennaio 2013
i nuovi credenti
Ranieri mio, le carte ove l’umana
Vita esprimer tentai, con SalomoneLei chiamando, qual soglio, acerba e vana,
Spiaccion dal Lavinaio al Chiatamone,
Da Tarsia, da Sant’Elmo insino al Molo,
E spiaccion per Toledo alle persone.
Di Chiaia la Riviera, e quei che il suolo
Impinguan del Mercato, e quei che vanno
Per l’erte vie di San Martino a volo;
Capodimonte, e quei che passan l’anno
In sul Caffè d’Italia, e in breve accesa
D’un concorde voler tutta in mio danno,
S’arma Napoli a gara alla difesa
De’ maccheroni suoi; che a’ maccheroni
Anteposto il morir, troppo le pesa.
E comprender non sa, quando son buoni,
Come per virtù lor non sien felici
Borghi, terre, provincie e nazioni.
Che dirò delle triglie e delle alici?
Qual puoi bramar felicità più vera
Che far d’ostriche scempio infra gli amici?
Sallo Santa Lucia, quando la sera
Poste le mense, al lume delle stelle,
Vede accorrer le genti a schiera a schiera,
E di frutta di mare empier la pelle.
Ma di tutte maggior, piena d’affanno,
Alla vendetta delle cose belle
Sorge la voce di color che sanno,
E che insegnano altrui dentro ai confini
Che il Liri e un doppio mar battendo vanno.
Palpa la coscia, ed i pagati crini
Scompiglia in su la fronte, e con quel fiato
Soave, onde attoscar suole i vicini,
Incontro al dolor mio dal labbro armato
Vibra d’alte sentenze acuti strali
Il valoroso Elpidio; il qual beato
Dell’amor d’una dea che batter l’ali
Vide già dieci lustri, i suoi contenti
A gran ragione omai crede immortali.
Uso già contro il ciel torcere i denti
Finchè piacque alla Francia; indi veduto
Altra moda regnar, mutati i venti,
Alla pietà si volse, e conosciuto
Il ver senz’altre scorte, arse di zelo,
E d’empio a me dà nome e di perduto.
E le giovani donne e l’evangelo
Canta, e le vecchie abbraccia, e la mercede
Di sua molta virtù spera nel cielo.
Pende dal labbro suo con quella fede
Che il bimbo ha nel dottor, levando il muso
Che caprin, per sua grazia, il ciel gli diede,
Galerio, il buon garzon, che ognor deluso
Cercò quel ch’ha di meglio il mondo rio;
Che da Venere il fato avealo escluso.
Per sempre escluso: ed ei contento e pio,
Loda i raggi del dì, loda la sorte
Del gener nostro, e benedice Iddio.
E canta, ed or le sale, ed or la corte
Empiendo d’armonia, suole in tal forma
Dilettando se stesso, altrui dar morte.
Ed oggi del suo duca egli su l’orma
Movendo, incontro a me fulmini elice
Dal casto petto, che da lui s’informa.
Bella Italia, bel mondo, età felice,
Dolce stato mortal! grida tossendo
Un altro, come quei che sogna e dice;
A cui per l’ossa e per le vene orrendo
Veleno andò già sciolto, or va commisto
Con Mercurio ed andrà sempre serpendo.
Questi e molti altri che nimici a Cristo
Furo insin oggi, il mio parlare offende,
Perchè il vivere io chiamo arido e tristo.
E in odio mio fedel tutta si rende
Questa falange, e santi detti scocca
Contra chi Giobbe e Salomon difende.
Racquetatevi, amici. A voi non tocca
Delle umane miserie alcuna parte;
Che misera non è la gente sciocca.
Nè dissi io questo, o se pur dissi, all’arte
Non sempre appieno esce l’intento, e spesso
La penna un poco dal pensier si parte.
Or mia sentenza dichiarando, espresso
Dico, ch’a noia in voi, ch’a doglia alcuna
Non è dagli astri alcun poter concesso.
Non al dolor, perchè alla vostra cuna
Assiste, e poi su l’asinina stampa
Il piè per ogni via pon la fortuna.
E se talor la vostra vita inciampa,
Come ad alcun di voi, d’ogni cordoglio
Il non sentire e il non saper vi scampa.
Noia non puote in voi, ch’a questo scoglio
Rompon l’alme ben nate; a voi tal male
Narrare indarno e non inteso io soglio.
Portici, San Carlin, Villa Reale,
Toledo, e l’arte onde barone è Vito (*),
E quella onde la donna in alto sale,
Pago fanno ad ogni or vostro appetito,
E il cor, che nè gentil cosa, nè rara,
Nè il bel sognò giammai, nè l’infinito.
Voi prodi e forti, a cui la vita è cara,
A cui grava il morir; noi femminette,
Cui la morte è in desio, la vita amara.
Voi saggi, voi felici: anime elette
A goder delle cose: in voi natura
Le intenzioni sue vede perfette.
Degli uomini e del ciel delizia e cura
Sarete sempre, infin che stabilita
Ignoranza e sciocchezza in cor vi dura:
E durerà, mi penso, almeno in vita.
(*) Celebre venditore di sorbetti, che divenuto ricco, comperò una baronia, e fu domandato il barone Vito. | Nota dell’E. [= Antonio Ranieri]
mercoledì 9 gennaio 2013
Le guerre personali [a B.D.G]
già, si dovrebbe dire qualcosa del lutto,
un giorno o l'altro -
si dovrebbe dire qualcosa del nero -
d'o nniro 'e seccia -
ca ccà scorre a semmènza -
presque un petit ruisseau -
dentro gli animi nelle case dei palazzoni e per le scalinatelle.
domenica 6 gennaio 2013
lunedì 31 dicembre 2012
Rainer, amico mio
Quell'amico, Rainer, mi ha portato qui
in questo stretto cunicolo di sole, al terzo piano
arrampicandoci per un dedalo di vicoli e viuzze, tutte
in salita,
verso un monte, certo non il Tabor, ma faticoso come il Golgota,
interminabile, come un voto di salute.
Ho deposto sulla soglia la mia lingua, la mia nobiltà
che qui sono troppo vistose per non essere d'impaccio, per non
fare di me
facile preda anche delle mosche
che qui sono particolarmente agitate e fameliche.
Quell'amico ha ragione di pensare che il mio male
il mio essere straniero
e perfino i miei sguardi o il portarmi, furtivo,
il fazzoletto alla bocca se tossisco
possono suonare a indecenza per chi mi ospita,
per questo sedicente popolo del sole.
E dunque, vivo nella discrezione, o meglio, nel segreto
di me più assoluto.
Da qui, da questa tana appena più sotto del cielo
da questa feritoia di luce scavata nel brulicante e opaco buio
tra questa odiosissima e accalorata plebe
- ammasso di carne -
disposta verticalmente come una torre su su
fino ai miei piedi,
da qui mi è difficile scorgere la Baia. Impossibile.
Rien ne va plus, sto diventando cieco Anche nella fantasia dell'infinito
e questo amico me ne sottolinea la spaventosa calamità
tracciando sui fogli, al posto mio
i celesti e bugiardi segni della descrizione di queste acque.
"A palazzo riale avisseva j"
"distinto come siete, e magro! accussì delicato
sulo 'o poeta ve farrian' fa, sulo chello!"
E io sento così che pure l'ignoranza e la dabbenaggine
tutti, perfino le pietre, perfino l'evera 'nfaccia 'o muro
sanno di me, a stu paese.
Anche del mio insolito sodalizio sanno,
anche di Rainer. E dei sette lunghi anni della mia
prigionia.
Solo, comme sempre so stato
da straniero, comme sempre so stato.
Pozze d'amido, lavature e preta, bitume
containers, butteglie
lattine di veleno inossidabile lungo le rotaie..
E ca io so stato ccà l'avranno immaginato
sbirciato a cocche parte
rimediato nello zero di una storia mai vissuta.
dove nun esistono passegge mmmiezz' all'Ombre
tra le acque, ne tra le rocce
se ci sono solo rocce.
Tra la scrittura e l'amore
c'è una convivenza e una rassomiglianza.
Hanno insieme angoli e simmetrie,
impercettibili quadrature di spazio e di tempo.
E l'una fa testimonianza, prova,
della vita, dell'esistenza dell'altro
l'occhio d'uva, vitreo, dell'abitudine,
la pratica del vuoto.
Con il mio corpo sulle spalle -
sangue dal naso contro la nuca,
bava verde sopra la tua mano -
discenderai questa montagna, Rainer:
vico della Calce, vico della Neve,
vico Cimitile, vico Filatoio,
epperò
tutt'a sghimbescio, tutto sottosopra,
specchio capovolto nella rètina dell'occhio,
cono rovesciato
la stanza sarà vuota come prima, senza me -
vuoto, altrettanto, il cunicolo di luce
la tana della poesia al terzo piano.
Avanzerai ingobbito, tu, al posto mio,
sotto il peso di un grifone a quattro teste -
mon cadavre -
piume ed artigli impallinati,
piombo scarlatto sulle lingue penzolanti.
Navi entreranno a Babilonia
su per le scalette, malsicure e puzzolenti,
degli embargos di Toledo:
spugna, la mia pelle, saliva, la scrittura:
sarò buono da mangiare alla Tavola dei Poveri -
festa di santa Maria - Cannibala -
occhi scuri, scuri, tragici, Medea.
"S'agapò, s'agapò, s'agapò"
mi urlavano dietro
"s'agapò s'agapò s'agapò"
a perfido spregio del mio amore per la lingua e il mito dei greci
questa pernacchia alla mia gobba
questo epitaffio pagato in anticipo ai miei restanti giorni
si sparse ben presto per i vicoli, come un eco
"S'agapò, s'agapò, s'agapò
S'agapò, s'agapò, s'agapò"
e neppure sapevano che volesse dire ti amo
o che nella più viva delle carni
iniettassero quel grido
come il più indelebile veleno.
Et hic moritur Angelus,
'Qui finisco io e non avrò rimembranze scintillanti.'
ne matrigne nature da provare.
Indifferente agonia, qui il mio cuore batte da solo
per esso e per i suoi
dint'a na nicchia, sofisticato studio di botanica.
Et hic moritur Angelus
Ccà, schiatta il rospo furastiero, il brutto, ca scrive d'idilli
e di splendide Aspasie!
ccà iette o sanghe lo scriba! [maleodorande e scartellato]
Napoli, sono io il tuo prezioso ago nel pagliaio
sono io l'anonimo, il nascosto, l'introvabile.
Sono io questa carne queste ossa questi pensieri
da giocare al lotto, edificante meraviglia
di me si cerca, quando si cerca, una tomba, nu fuosso
da nessuna parte posti.
Mi faranno autopsie lo sai.
Sono io l'incerta Graziella, suicida dalle rupi di Vivara
io, la Ginestra, 'e pontone, muta.
io, lo schernito disgustoso sembiante dei diari d'amore
di Rainer
quell'amico, mio infermiere, mio aguzzino.
AL CONTE GIACOMO LEOPARDI RECANATESE
FILOLOGO AMMIRATO FUORI D'ITALIA
SCRITTORE DI FILOSOFIA E DI POESIE ALTISSIMO
DA PARAGONARE SOLAMENTE COI GRECI
CHE FINI' DI XXXIX ANNI LA VITA
PER CONTINUE MALATTIE MISERISSIMA
FECE ANTONIO RANIERI
PER SETTE ANNI FINO ALLA ESTREMA ORA CONGIUNTO
ALL'AMICO ADORATO MDCCCXXXVII
venerdì 28 dicembre 2012
Chi ha fatto ammore a Napule
guarda 'a ccà 'ncoppa Napule
e doppe dimme che paravesiello!
'e barche 'e pesca passano
cu 'e lume a prora, 'a parte d' 'o Castiello
sient dint' 'o silenzio
'a botta 'e rimmo quanno taglia 'o mare
e vocano e se sperdono
assieme 'e vuzze 'e voce e 'e marenare
'e stelle e 'e lume tremmano
comme stu core mio tremma stasera
e a mare tuculeano
tutt'e fanale e 'e lume d' 'a riviera
e io guardo stu spettacolo
e smanio e chiagno e m'arricordo 'e te
chi ha fatto ammore a Napule
chesta serata nun 'a pò vedè!
stasera 'o mare 'e Napule, nennella mia,
pare addurmuto e stanco
ccà ce venette giovane,
primma 'e tenè quacche capille bianco
e jettemo dint' 'a n'angolo
tutt' appartate' e cu nisciuno atturno
e chello ca lasciavamo
'e spisso 'o cunto se chiammava ammore
'e stelle e 'e lume tremmano
comme stu core mio tremma stasera
che friddo dint'all'anema ma tu nun sient' st'ultuma preghiera
e io guardo chesta Napule
e smanio e chiagno e m'arricordo 'e te
e penso 'mpallidennome
ca nun m'è dato manco 'e te vedè.
Stasera 'o mare 'e Napule
sceta st'ammore che è na vita 'e 'bbene
e 'o sangue me fa sbollere
me metto 'ncuollo n'ata vota 'e 'ppene
Nennella è n'ata femmena
io so 'na donna e ancora sufferente
'na scappatella 'e giovane
che m'a turbata tutt'l'estistenza
'E stelle e 'e lume tremmano
comme stu core mio tremma stasera
e a mare tuculeano
tutte 'e fanale e 'e lume da riviera
e io guardo 'o mare 'e Napule
e smanio e chiagno e m'arricordo 'e te
chi ha fatto ammore a Napule
stasera 'a luna nun l'adda verè
giovedì 20 dicembre 2012
Manuale di psicogeografia
Di tante storie a cui partecipiamo, con più o meno interesse, la ricerca frammentaria di un nuovo stile di vita resta il solo aspetto interessante. Va da sé il più grande distacco nei confronti di alcune discipline, estetiche o altre, la cui insufficienza a questo riguardo è prontamente verificabile. Oc- correrebbe dunque definire alcuni terreni d'osservazione provvisori. E, fra essi, l'osservazione di certi processi del casuale e del prevedibile nelle stra- de. Il termine psicogeografia, proposto da un cabilo illetterato per indicare l'in- sieme dei fenomeni che preoccupavano alcuni di noi verso l'estate del 1953, non è ingiustificato. Non esce dalla prospettiva materialista del condizionamento della vita e del pensiero da parte della natura oggettiva. La geografia, per esempio, rende conto dell'azione determinante di forze naturali generali, come la composizione dei suoli o i regimi climatici, sulle formazioni economiche di una società e, per questa via, sulla concezione che essa può farsi del mondo. La psicogeografìa si proporrebbe lo studio delle leggi esatte e degli effetti precisi dell'ambiente geografico, coscientemente organizzato o meno, in quanto agisce direttamente sul comportamento affettivo degli individui. L'aggettivo psicogeografico, conservando una vaghezza assai simpatica, può dunque applicarsi ai dati accertati da questo genere di investigazioni, ai risultati del loro influsso sui sentimenti umani, e anche più in generale a ogni situazione o ogni comportamento che sembrano partecipare allo
domenica 16 dicembre 2012
mercoledì 5 dicembre 2012
ma quanto tempo è passato?
E’ tutto più complicato di quello che pensi. Vedi solo un decimo di ciò che è vero. Ci sono milioni di fili attaccati a ogni scelta che fai; puoi distruggere la tua vita ogni volta che fai una scelta. Ma forse non lo saprai per vent’anni. E non riuscirai mai a risalire indietro alla fonte. E hai solo una possibilità da giocarti. Prova solo a capire il tuo divorzio. E dicono che non esiste il fato, ma esiste: è ciò che tu crei. Anche se il mondo va avanti per una frazione di una frazione di secondo. La maggior parte del tempo lo passi da morto o prima di nascere. Ma mentre sei vivo, aspetti invano, sprecando anni, una telefonata o una lettera o uno sguardo da qualcuno o qualcosa che aggiusti tutto. E non arriva mai oppure sembra che arrivi ma non lo fa per davvero. E così spendi il tuo tempo in vaghi rimpianti o più vaghe speranze perché giunga qualcosa di buono. Qualcosa che ti faccia sentire connesso, che ti faccia sentire completo, che ti faccia sentire amato. È la verità è che sono così arrabbiato e la verità è che sono così triste, cazzo, e la verità è che ho sofferto, cazzo, per un cazzo di tempo lunghissimo, per quello stesso tempo in cui ho fatto finta di essere ok, giusto per andare avanti, giusto per, non so perché, forse perché nessuno vuole sapere della mia tristezza, perché hanno la loro e la loro è troppo opprimente per permettere di starmi a sentire o di curarsi di me. Be’, vaffanculo tutti. Amen
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