Le prime volte sperimenti il vento che fanno i corpi in
corsa. Vedi la fuga che ti arriva contro, i tuoi scappano, tu ti
tieni su un bordo per non averli addosso. Corrono zitti, nien-
te gridi, il fiato serve tutto per le gambe. Guardi la loro corsa.
È vento in faccia, corpi di ragazzi e ragazze schizzano via, nes-
suno bada a te. Poi qualcuno dirà sì, l'ho visto, era fermo sul-
l'angolo, appoggiato al muro.
Dietro arrivano le truppe in divisa. Tu aspetti la poca ter-
ra di nessuno tra i fuggiti e quelli che rincorrono, ti stacchi
dal margine, dal muro, tiri quello che hai in mano, tiri basso
per far inciampare, poi tocca a te schizzare. Hai avuto
tempo di guardare dove ti conviene, dove hai vantaggio,
meglio se in salita. Chi insegue ha già l'affanno e si scorag-
gia a correre contro una pendenza. Anche se vuole tirarti
dietro qualche colpo, è più scomodo un bersaglio che sta
più in alto.
Hai poco vantaggio, qualche metro, ma con la sortita hai
scombinato, per qualche secondo, il loro galoppo, li hai sor-
presi. Vedono te soltanto, ma gli frulla il dubbio che ce ne
sono altri, per un altro secondo guardano intorno. E un vec-
chio vizio del timore, quello di non fidarsi dei propri sensi
in punto di concitazione. Ne profitti e guadagni metri.
Hanno capito infine che sei solo una scheggia, quella che
sbatte contro le gambe larghe di chi abbatte un albero con
l'ascia. Dietro di te scoppia la loro collera e li trascina alla
rincorsa, senti che qualcuno strilla d'acchiapparti, pensi:
meglio ancora, sprecano a gridi la riserva d'aria, in venti,
trenta metri avranno il fiato spento, si dovranno piantare in
piena corsa a rifiatare. Intanto hai scomposto il loro inse-
guimento, i tuoi sono al riparo e tu puoi rallentare, tentare
di raggiungerli nel posto successivo, già concordato in caso
di fuga. Tu: chi sei?
Sei uno che un giorno dentro una carica delle truppe sei
rimasto fermo. T'è venuto sgomento per la corsa sganghe-
rata di quelli intorno, che se uno cadeva gli altri magari gli
passavano sopra con il panico. Ti dava pena la corsa goffa di
molte ragazze che allora non andavano in palestre e per i
parchi a fare allenamenti. Quand'è toccato a te d'essere gio-
vane, e giovane di strada, lo sport era stato l'ora di educa-
zione fisica in un camerone di scuola. I ragazzi sapevano
correre perché giocavano a palla nella Villa Comunale,
interrotti dai vigili urbani. Le ragazze non sapevano corre-
re. Imparavano allora, nelle manifestazioni attaccate, affumicate, inseguite.
[erri de luca]