giovedì 28 marzo 2013

Mystery of faith

Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia, o più precisamente lo sarebbe senza la distanza che sia pone tra me ed essa a causa della mia imperfezione.
Da anni penso a queste cose con tutta l'intensità d'amore e d'attenzione di cui sono capace.
Questa intensità è miseramente debole, a causa della mia imperfezione, che è molto grande, tuttavia mi sembra che essa cresca sempre di più, e nella misura in cui cresce, i legami che mi uniscono alla fede diventano sempre più forti, sempre più profondamente radicati nel cuore e nell'intelligenza.
Ma nello stesso tempo anche i pensieri che mi allontanano dalla Chiesa acquistano più forza e maggiore chiarezza. Se dunque questi pensieri sono veramente incompatibili con l'appartenenza alla Chiesa, non vedo come potrei evitare di concludere che la mia vocazione è di essere cristiana fuori dalla Chiesa.
I figli di Dio non devono avere quaggiù altra patria che l’universo intero. Con la totalità delle creature ragionevoli che ha contenuto e contiene e conterrà, il nostro amore deve avere la stessa estensione attraverso tutto lo spazio. Ogni qual volta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Crisna, Budda, Il Tao ecc. il Figlio di Dio ha risposto inviandogli lo spirito Santo e lo Spirito Santo ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli luce e nei migliori dei casi la pienezza della luce all’interno di tale tradizione.
Ma personalmente non darei mai neppure venti soldi per un'opera missionaria. Credo che per un uomo cambiare religione sia pericoloso quanto per uno scrittore cambiare lingua. La religione cattolica contiene esplicitamente verità che altre religioni contengono in modo implicito. E, inversamente, altre religioni contengono esplicitamente verità che nel Cristianesimo sono soltanto implicite. Il cristiano meglio istruito può imparare ancora molto sulle cose divine anche da altre tradizioni religiose, sebbene la luce interiore possa anche fargli percepire tutto attraverso la propria tradizione. E tuttavia, se le altre tradizioni sparissero dalla faccia della terra, la perdita sarebbe irreparabile. I missionari ne hanno già fatte sparire troppe.
San Giovanni della Croce paragona la fede a dei riflessi d'argento, ma la verità è l'oro. Le diverse tradizioni religiose autentiche sono differenti riflessi della stessa verità, e forse in ugual misura preziosi. Ma di questo non ci si rende conto, perchè ciascuno vive una sola di queste tradizioni e percepisce le altre dall'esterno.
E' come se due uomini posti in due camere comunicanti, vedendo entrambi il sole attraverso la propria finestra e il muro del vicino illuminato dai raggi, credessero entrambi di essere l'unico a vedere il sole e che l'altro ne riceva soltanto un riflesso.

Poiché in occidente la parola Dio, nel suo significato corrente, disegna una persona, quegli uomini nei quali l’attenzione, la fede e l’amore si applicano quasi esclusivamente al perfetto impersonale di Dio, possono credere e dirsi atei, sebbene l’amore soprannaturale abiti nella loro anima. Costoro sono sicuramente salvati e si riconosce dal loro atteggiamento verso le cose di quaggiù, quelli che possiedono allo stato puro l’amore per il prossimo e l’accettazione dell’ordine del mondo compresa la sventura, costoro sono tutti sicuramente salvati, anche se vivono e muoiono in apparenza atei.
 Coloro che posseggono perfettamente queste due virtù, anche se vivono e muoiono atei, sono santi. Quando si incontrano uomini siffatti, è inutile volerli convertire. Essi sono pienamente convertiti, sebbene non in modo visibile; sono stai generati di nuovo a partire dall’acqua e dallo spirito, anche se non sono mai stati battezzati, hanno mangiato il pane della vita, anche se non si sono mai comunicati. Un ateo e un infedele capaci di compassione pura, sono altrettanto vicini a Dio di un cristiano, e quindi lo conoscono altrettanto bene, sebbene la loro conoscenza si esprima con parole diverse, oppure resti muta.

È come se con il tempo si fosse finito per considerare non più Gesù, ma la Chiesa come Dio incarnato quaggiù. La metafora del Corpo mistico funge da ponte tra le due concezioni. Ma c'è una piccola differenza: ed è che Cristo era perfetto mentre la Chiesa è macchiata da numerosi crimini.
La metafora del "velo" o del "riflesso" applicata dai mistici alla fede permette loro di uscire da un tale soffocamento. Essi accettano l'insegnamento della Chiesa, non come se fosse la verità, ma come qualcosa dietro a cui si trova la verità.
Ciò è molto lontano dalla definizione di fede del catechismo del Concilio di Trento. E' come se sotto la medesima denominazione di cristianesimo e all'interno della stessa organizzazione sociale vi fossero due religioni distinte: quella dei mistici, e l'altra.
Io credo che la religione vera sia la prima, e che la confusione tra le due abbia prodotto allo stesso tempo grandi vantaggi e grandi inconvenienti.
Di fatto, i mistici di quasi tutte le tradizioni religiose convergono fin quasi all'identità.
Essi costituiscono la verità di ciascuna.
La contemplazione praticata in India, Grecia, Cina ecc.. è soprannaturale quanto quella dei mistici cristiani. C'è una grandissima affinità tra Platone e per esempio San Giovanni della Croce. Come anche tra la mistica cristiana e il taoismo ecc..
Non c'è alcuna ragione di supporre che dopo un crimine tanto atroce come l'assassinio di un essere perfetto l'umanità sarebbe dovuta diventare migliore e di fatto complessivamente non sembra essere diventata migliore. La Redenzione si trova su un altro piano, un piano eterno.
In generale non vi è alcuna ragione di stabilire un legame tra il grado di perfezione e la cronologia.
Il cristianesimo ha introdotto nel mondo questa nozione di progresso, prima sconosciuta; e tale nozione diventata il veleno del mondo moderno lo ha scristianizzato. Occorre abbandonarla.
Se si vuole trovare l'Eternità occorre disfarsi della superstizione della cronologia.
I misteri della fede non sono un oggetto per l’intelligenza in quanto facoltà che permette di affermare o di negare. Non appartengono all’ordine della verità, ma a un ordine superiore. L’unica parte dell’anima umana capace di un contatto reale con essi è una facoltà di amore soprannaturale. Soltanto questa è pertanto capace di un’adesione nei loro riguardi.
Il ruolo delle altre facoltà dell’anima, a cominciare dall’intelligenza, è soltanto quello di riconoscere che ciò con cui l’amore soprannaturale viene a contatto è reale; che tali realtà sono superiori agli oggetti di loro pertinenza; e di tacere non appena l’amore soprannaturale si desta in modo attuale nell’anima.
La virtù di carità è l’esercizio della facoltà di amore soprannaturale.
La virtù di fede è la subordinazione di tutte le facoltà dell’anima alla facoltà di amore soprannaturale.
La virtù di speranza è un orientamento dell’anima verso una trasformazione dopo la quale essa sarà interamente ed esclusivamente amore.
Per subordinarsi alla facoltà di amore, le altre facoltà devono trovarvi ciascuna il proprio bene; in particolare l’intelligenza, che è la più preziosa dopo l’amore. E le cose stanno effettivamente così.
Quando l’intelligenza torna a esercitarsi di nuovo, dopo aver fatto silenzio per consentire all’amore di invadere tutta l’anima, si trova a possedere più luce di prima, una maggiore attitudine a cogliere gli oggetti, le verità che sono di sua pertinenza.
Non solo: io credo che tali silenzi costituoscano per essa una educazione che non ha equivalenti e le permettano di cogliere verità che altrimenti le resterebbero celate per sempre.
Ci sono verità che sono alla sua portata, che essa può cogliere, ma solo dopo essere passata in silenzio attraverso l’inintelligibile.
Non è questi che Giovanni della Croce intende dire chiamando la fede una notte?
L’intelligenza può riconoscere i vantaggi di questa subordinazione all’amore soltanto per esperienza, a cose fatte. Prima, non ne ha alcun presentimento. Non ha inizialmente alcun motivo ragionevole di accettare questa subordinazione. Cosicchè questa subordinazione è opera soprannaturale che soltanto Dio opera.
L'intelligenza deve esercitarsi in totale libertà, oppure tacere. Nel suo ambito la Chiesa non deve avere nessun diritto di giurisdizione. Ovunque ci sia disagio dell'intelligenza c'è oppressione dell'individuo da parte del sociale, che tende a diventare totalitario. La Chiesa ha stabilito un totalitarismo, così essa oggi non è priva di responsabilità negli attuali avvenimenti.

Quando si fa perfetta attenzione a una musica perfettamente bella (e lo stesso vale per l'architettura, la pittura la scultura ecc..) l'intelligenza non ha al riguardo alcunchè da affermare o da negare. Ma tutte le facoltà dell'anima, compresa l'intelligenza, tacciono e sono sospese all'ascolto. L'ascolto è applicato ad un oggetto incomprensibile ma che racchiude della realtà e del bene. E l'intelligenza che non vi coglie alcuna verità vi trova nondimeno un nutrimento. Io credo che il mistero del bello nella natura e nelle arti (ma soltanto nell'arte di primissimo ordine, perfetta o quasi) sia un riflesso sensibile del mistero della fede.

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estratti sparsi a cura mia da 'Lettera a un religioso' di Simone Weil, del 1951
foto: particolari del cimitero Monumentale di Poggioreale, Napoli