lunedì 31 dicembre 2012

Rainer, amico mio

















Quell'amico, Rainer, mi ha portato qui
in questo stretto cunicolo di sole, al terzo piano
arrampicandoci per un dedalo di vicoli e viuzze, tutte
in salita,
verso un monte, certo non il Tabor, ma faticoso come il Golgota,
interminabile, come un voto di salute.
Ho deposto sulla soglia la mia lingua, la mia nobiltà
che qui sono troppo vistose per non essere d'impaccio, per non
fare di me
facile preda anche delle mosche
che qui sono particolarmente agitate e fameliche.
Quell'amico ha ragione di pensare che il mio male
il mio essere straniero
e perfino i miei sguardi o il portarmi, furtivo,
il fazzoletto alla bocca se tossisco
possono suonare a indecenza per chi mi ospita,
per questo sedicente popolo del sole.
E dunque, vivo nella discrezione, o meglio, nel segreto
di me più assoluto.

Da qui, da questa tana appena più sotto del cielo
da questa feritoia di luce scavata nel brulicante e opaco buio
tra questa odiosissima e accalorata plebe
- ammasso di carne -
disposta verticalmente come una torre su su
fino ai miei piedi,
da qui mi è difficile scorgere la Baia. Impossibile.
Rien ne va plus, sto diventando cieco Anche nella fantasia dell'infinito
e questo amico me ne sottolinea la spaventosa calamità
tracciando sui fogli, al posto mio
i celesti e bugiardi segni della descrizione di queste acque.

"A palazzo riale avisseva j"
"distinto come siete, e magro! accussì delicato
sulo 'o poeta ve farrian' fa, sulo chello!"
E io sento così che pure l'ignoranza e la dabbenaggine
tutti, perfino le pietre, perfino l'evera 'nfaccia 'o muro
sanno di me, a stu paese.
Anche del mio insolito sodalizio sanno,
anche di Rainer. E dei sette lunghi anni della mia
prigionia.

Solo, comme sempre so stato
da straniero, comme sempre so stato.
Pozze d'amido, lavature e preta, bitume
containers, butteglie
lattine di veleno inossidabile lungo le rotaie..
E ca io so stato ccà l'avranno immaginato
sbirciato a cocche parte
rimediato nello zero di una storia mai vissuta.
dove nun esistono passegge mmmiezz' all'Ombre
tra le acque, ne tra le rocce
se ci sono solo rocce.

Tra la scrittura e l'amore
c'è una convivenza e una rassomiglianza.
Hanno insieme angoli e simmetrie,
impercettibili quadrature di spazio e di tempo.
E l'una fa testimonianza, prova,
della vita, dell'esistenza dell'altro
l'occhio d'uva, vitreo, dell'abitudine,
la pratica del vuoto.

Con il mio corpo sulle spalle -
sangue dal naso contro la nuca,
bava verde sopra la tua mano -
discenderai questa montagna, Rainer:
vico della Calce, vico della Neve,
vico Cimitile, vico Filatoio,
epperò
tutt'a sghimbescio, tutto sottosopra,
specchio capovolto nella rètina dell'occhio,
cono rovesciato
la stanza sarà vuota come prima, senza me -
vuoto, altrettanto, il cunicolo di luce
la tana della poesia al terzo piano.
Avanzerai ingobbito, tu, al posto mio,
sotto il peso di un grifone a quattro teste -
mon cadavre -
piume ed artigli impallinati,
piombo scarlatto sulle lingue penzolanti.
Navi entreranno a Babilonia
su per le scalette, malsicure e puzzolenti,
degli embargos di Toledo:
spugna, la mia pelle, saliva, la scrittura:
sarò buono da mangiare alla Tavola dei Poveri -
festa di santa Maria - Cannibala -
occhi scuri, scuri, tragici, Medea.

"S'agapò, s'agapò, s'agapò"
mi urlavano dietro
"s'agapò s'agapò s'agapò"
a perfido spregio del mio amore per la lingua e il mito dei greci
questa pernacchia alla mia gobba
questo epitaffio pagato in anticipo ai miei restanti giorni
si sparse ben presto per i vicoli, come un eco
"S'agapò, s'agapò, s'agapò
S'agapò, s'agapò, s'agapò"
e neppure sapevano che volesse dire ti amo
o che nella più viva delle carni
iniettassero quel grido
come il più indelebile veleno.

Et hic moritur Angelus,
'Qui finisco io e non avrò rimembranze scintillanti.'
ne matrigne nature da provare.
Indifferente agonia, qui il mio cuore batte da solo
per esso e per i suoi
dint'a na nicchia, sofisticato studio di botanica.
Et hic moritur Angelus
Ccà, schiatta il rospo furastiero, il brutto, ca scrive d'idilli
e di splendide Aspasie!
ccà iette o sanghe lo scriba! [maleodorande e scartellato]

Napoli, sono io il tuo prezioso ago nel pagliaio
sono io l'anonimo, il nascosto, l'introvabile.
Sono io questa carne queste ossa questi pensieri
da giocare al lotto, edificante meraviglia
di me si cerca, quando si cerca, una tomba, nu fuosso
da nessuna parte posti.
Mi faranno autopsie lo sai.
Sono io l'incerta Graziella, suicida dalle rupi di Vivara
io, la Ginestra, 'e pontone, muta.
io, lo schernito disgustoso sembiante dei diari d'amore
di Rainer
quell'amico, mio infermiere, mio aguzzino.
























AL CONTE GIACOMO LEOPARDI RECANATESE
FILOLOGO AMMIRATO FUORI D'ITALIA
SCRITTORE DI FILOSOFIA E DI POESIE ALTISSIMO
DA PARAGONARE SOLAMENTE COI GRECI
CHE FINI' DI XXXIX ANNI LA VITA
PER CONTINUE MALATTIE MISERISSIMA
FECE ANTONIO RANIERI
PER SETTE ANNI FINO ALLA ESTREMA ORA CONGIUNTO
ALL'AMICO ADORATO MDCCCXXXVII