lunedì 22 febbraio 2010

scoprendo il bene

Era umile, sembra strano dire questo, ma era uno umile. Era un’umiltà straziata e vera, storica, come la si potrebbe pensare oggi di un santo antico, un’umiltà armata di spada, armata di dolore. Era uno umile e indifeso, di cui si sentiva che andava protetto, e bisognava proteggerlo, proteggerlo dalla propria umiltà. Era antico, di un’antichità ormai difficile da reperire nei volti e nei gesti degli altri, contraffatti nella smorfia di questo tempo smorfioso, in cui bisogna somigliare a qualcuno, era uno antico, di un’antichità da repubblica romana, un’antichità antica, in cui era trascritta la forza e la violenza della sua umiltà umana. Sembra strano dire questo, ma era uno tenero, di una tenerezza maniaca, di una tenerezza antica, non fatta di smancerie, ma di poche parole, di cose che si sanno, che non c’è bisogno di dire. Ed era anche profumato di una sua santità. Sembrava forse arroganza questo essere nello stesso tempo e umile e antico e tenero e profumato, ed era un’antichità difesa : egli chiamava a sé questa protezione che nasceva dall’umiltà, dall’antichità, dalla tenerezza. Dico questo perché è cio che di lui non si sa. Di lui si sa tutto il resto, ma non si sa questo, quanto fosse tutto questo per essere il resto, quello cioè che è stato in scena, sempre, Pinocchio e Amleto, e Macbeth, Tamerlano e Maiakovski e Salomè fino alla parte estrema di sé data al teatro, Pentesilea o Achilleide, tra l’uno e l’altro, col silenzio estremo delle voragini, con le spiegazioni che restano al di qua d’ogni atto dell’essere teatro fino all’estremo. Ridire Shakespeare o Laforgue, farsi nemici e amici, amare, amare Shakespeare facendo finta di non amarlo, era discussione di uno umile, ripensare Laforgue come risposta all’apparente disamore era amore ulteriore, umiltà ulteriore. Egli era amore del teatro, un amore tanto passionale da essere violentemente possessivo e incontrollabile, eccedente. Era anche eccessivo, di un’eccessività antica e intransigente, stendhaliana, che non esiste più, che non si trova più nemmeno nelle biografie stendhaliane, che si ritrova ancora solo nelle Chroniques italiennes, carattere antico e arcaico che guarda e distrugge per verità, una verità senza problemi, senza dialettiche, senza aforismi, senza metafore. Grandezza arcana della scena di Carmelo, bambino, cresciuto bambino, vissuto bambino, grandezza di antico colore italiano che non si trova più, grandezza di un incedere con la violenza forsennata e potente, con un ultimo guizzo d’impero negli occhi. Animula vagula blandula, hospes comesque corporis, nec dabis jocos…

gp. Manganaro
intorno alla morte di Carmelo Bene