martedì 29 dicembre 2009

n#7

comincio io con una lettera di quattro anni fa.
quando bisognava inventarsi uno stile d'altri tempi che permettesse di pensare a quel dolore come qualcosa appartenente ad un mondo distante, non reale



Ricevo i vostri messaggi sporadicamente ma difficilmente trovo un po’ di coraggio per rispondervi. Chiamando a raccolta tutte le forze che ancora mi restano la sera, al ritorno. Se sapeste che gioia e che dolore mi danno le vostre parole. Mi dite che desiderate vedermi, ma sono trascorsi meno d’un mese appena dall’ultima volta che vi ho incontrata e, credetemi, da allora sono troppi i cambiamenti che m’hanno reso al di sopra degli occhi altrui. E’ passato così poco tempo e già fremiamo a volte d’insofferenza, distanti. Le distrazioni mi procurano un po’ di sollievo, ma io stesso di fronte allo specchio che mia madre si premura di lucidare ogni giorno con gran cura, stento a rammentare gli occhi che furono. Le mie gote sono avvinazzate, ricoperte di macchie rosee, e lo sguardo opaco ormai incapace di accogliere la luce di un tempo. Ma ho imparato che ci si adatta al proprio dolore forse altrettanto improvvisamente che alla propria felicità.
Ma ditemi di voi. Dalle vostre poche battute non apprendo granchè a questo proposito. Vi confesso la mia preoccupazione. Al momento le giornate trascorrono un po’ vaghe, immerse in una sorta di gradevole tedio.
Fino a poco tempo fa di mattino mia madre mi accompagnava fino alle stazioni più vicine. Arrivavo solitamente al lungomare molto presto, quando i vapori di nebbia salgono ancora dal mare e la luce dell’aurora si distende come una patina opaca e sottile sulla superficie dell’acqua. Sapete, questa è l’ora più bella per ascoltare il fruscio della risacca che, pigramente, risorge dalle ombre della notte. Gli autunni marini a volte sanno essere terribilmente avari, perché in quei momenti la dolcezza raggiunge limiti estremi e voi non ci siete accanto.
Le mie forze stanno sciogliendosi giorno dopo giorno e da qualche tempo non ci ritorno più così presto lì, è come uno schianto ad ogni alba. Vorrei restare a letto ma ho paura anche di quello.
Vedete, quando chiudiamo gli occhi abbiamo l’illusione che anche il nostro dolore riposi insieme con noi. Nel regno del sonno ogni cosa diviene più lieve, ma anche più profonda, smisuratamente immensa. Non v’è nulla di così grave come un’ombra. Nessun altro peso altrettanto penoso e insostenibile. Le ombre tacciono, permettono i nostri tormenti. E’ la vita ciò che occorre interrogare, la vita ciò che conta sempre e in ogni caso.
Il tempo non ci appartiene mai realmente, ma è nella certezza del suo accadere infinito che noi riponiamo la speranza. questo è il mio sogno.
Oh quanta voglia avrei di avervi qui, in questo momento! Quanto bisogno delle vostre carezze e dei vostri baci! Quanta brama di poter toccare la vostra pelle e di sciogliervi i capelli. Quanto desiderio di farvi capire, di non arrecarvi mai più tristezza! Ma come riuscirci?
So bene di non bastarvi. Spero possiate trovare un posto anche per me nei vostri pensieri
Per adesso vi bacio, vostro
b.