1970. Anni di incontri fondamentali: Eduardo De Filippo e Salvador Dalì
Eduardo l'avevo già conosciuto. Veniva a sentirmi in cantina. Appollaiato come un corvo su uno dei tanti banchi di scuola. Ci si ritrovava poi nel terrazzo di casa di Elsa Morante a parlare di teatro letteratura musica.
Del teatro di Eduardo non si è mai capita una cosa fondamentale: il tanto celebrato “testo a monte”, vanaglorioso lasciato ai posteri, gli serviva come handicap da contraddire nella scrittura di scena. Tutte le maniche rovesciate, i passaggi incidentati, i vuoti, le amnesie, il recitar di spalle al pubblico. Una battuta poteva anche sfiatare in un'ora e mezzo. Il suo capolavoro resta la versione napoletana della Tempesta, decisamente degna dell'originale shakesperiano.
Nuje simme fatte cu la stoffa de li
suonne, e chesta vita piccerella nostra
da suonno è circondata, suonno eterno.
Non avesse scritto altro, sarebbe stato più che sufficiente a riconoscergli certa grandezza. Cestinando tutto il resto, la porcheria scritta che lui redimeva in scena, abrogandola.
Una volta venimmo convocati dall'Espresso, io Eduardo e Gassman, come i più eclatanti esempi teatrali di tre generazioni diverse. Cercarono di farci litigare ma si andava sempre più di accordo. Chiesero ad Eduardo: “Cosa si può fare per l'attore?” e lui “Complicargli la vita!”
Insieme a De Filippo progettammo di fare il film da La serata a Colono, il capolavoro della Morante, vertice della poesia italiana del novecento.
Elsa ci sollecitava a realizzarlo, ritenendoci gli unici in grado. Testimone allora anche Carlo Cecchi, che fu vicino alla Morante nei giorni estremi del coma.
Con Eduardo sempre nel 1970 parte un altro progetto commissionato dalla Rai. Un “Don Chisciotte” televisivo in dodici puntate dal cast sensazionale: Carmelo Bene autore e regista, Eduardo nella parte di Chisciotte, il clown Popov in quella di Sancho Panza e Salvador Dalì a dipingere dal vivo le visioni di Chisciotte.
Avevamo messo a punto il progetto di questo Don Chisciotte memorabile.
C'era l'ok della Rai.
Passammo ore ed ore a casa di Eduardo a discutere e a sfogliare le illustrazioni del Dorè.
La grande idea, condivisa subito da Eduardo: partire per Parigi e incontrare Salvador Dalì all'Hotel Maurice, dove gli era stabilmente assegnata una lussuosissima suite che il genio pagava con le sue tele. Si trattava di convincerlo a dipingere dal vivo le soggettive di Chisciotte con una sua squadra di allievi al seguito. Restituire in presa diretta il delirio di Cervantes, delirio su delirio.
Con Eduardo ci fu una battaglia sul ruolo di Sancho. “Prendiamo Peppino” suggerii io, grande amico mio. Eduardo acido: “No! Peppino è vecchio!”. Dovetti rassegnarmi, con il lutto nell'animo.
Eduardo propose Popov, grande clown sovietico. Da Parigi, dopo l'ok di Dalì, saremmo partiti per Mosca a chiudere il tutto.
Come andò l'incontro fra te, Eduardo e Dalì, a Parigi?
Aveva appena visto il mio “Nostra signora dei turchi” in proiezione privata. Ne era entusiasta. “Fort bien, fort bien, c'est Dalinien!”. Lo considerava il più bel film mai visto, insieme, misteri del genio, a Deserto Rosso di Antonioni.
Discutemmo ore e ore sull'arte.
“Excuse moi”, ogni tanto bussava alla porta questo Capitan Moore (servitore-segretario, ex ufficile in pensione, che Dalì aveva scritturato a patto che vestisse la divisa irlandese) con ingombranti fasci di rose rosse, accolto in ginocchio da Dalì sempre in attesa di chissà quale perduta signora.
Tra un mazzo di rose e l'altro mi disse: “il tuo film è straordinario, ma c'è ancora troppa sofferenza, sei un grande artista ma non ancora un genio. Io sono un genio”.
Dalì diffidava della Rai (e aveva ragione) ma accettò per un compenso modestissimo. Pose una sola condizione, che nella Mancia dovesse piovere sempre durate le riprese. (!)
Trionfanti prenotammo il viaggio per Mosca.
La telefonata della Rai ci ghiacciò: “Bene, lei sta correndo troppo, ma che Mosca e Mosca!”.
Il progetto sfumò. Incredibile motivazione dei dirigenti Rai: “Sarebbe stato un Don Chisciotte troppo impopolare”. Caso unico di genio manageriale.
Anche Eduardo aveva sempre diffidato della Rai, le cui telefonate impersonali (“Pronto, qui è la televisione”) troncava di netto: “Un momentino, le passo l'aspirapolvere..”.