venerdì 4 febbraio 2011

Non siete voi che mi cacciate, sono io che vi condanno a rimanere

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Con Pasolini cominciaste a frequentarvi anche fuori teatro e set?

Pasolini odiava il teatro. Anche Moravia (la sordità non lo aiutava: rideva fragorosamente sempre in ritardo sulle battute, tra l'imbarazzo perplesso del pubblico, dopo essersi consultato con la Dacia Maraini, vicina di poltrona).
Veniva sempre a vedermi Elsa Morante, che mi adorava. Con Moravia ci s'incontrava in queste feste 'patrizie' a Roma. Con Pier Paolo ci si vedeva spesso. Lui diceva: “il teatro è volgare, lo sopporto solo con te e basta.”
Condividevo in scena i suoi Citti e Davoli. Li condividevamo questi 'ceffi'. E abbiamo condiviso altre cose.


L'eclettismo forsennato?

Per me Pasolini è il più grande filologo e grecista che abbiamo avuto in Italia. Come romanziere m'interessa molto meno, come cineasta quasi niente (mi diceva: “il cinema è una febbre, quando cominci non la smetti più), a parte Salò-Sade, il suo spietato molto privato testamento. “Questo sono io, finalmente” mi disse a set ultimato. In Salò ci sono delle cose che non appartengono al cinema. Il suo dannunzianesimo inconfessabile, in questa lettura lucida di Sade che gli apparteneva...era un violento.
Non potevo dar torto completamente a qualcuno che diceva, in questi bar notturni a Roma, che PierPaolo era una specie di Pascoli minore.
Nella vita era un nevrotico votato all'autodistruzione. Se l'andava cercando quella fine. Dormiva dodici ore e le dodici che vegliava le scazzottava in borgata, corse sfrenate in motocicletta, che guidava da dio.
Faceva il pamphlettista, scriveva saggi e romanzi, filmava, stracciava calendari, inseguiva il tempo, ma il tempo non c'era nemmeno per lui.
Quando lo stuzzicavo su D'Annunzio andava su tutte le furie. Bastava farne il nome e volavano piatti con tutte le tovaglie. “Non me lo nominare”, urlava isterico con la sua voce acuta. Era il suo còtè, il Vate, che voleva rimuovere. Glielo ripetevo. S'incazzava di più.


“Fine di un corruttore”. Sotto il titolo, la foto del suo cadavere sfigurato. E' la copertina di un rotocalco dell'epoca.

Intendo essere esplicito una volta per tutte. Pier Paolo Pasolini era in ogni senso un corruttore.
Corruttore del comune sentimento e del costume sociale. Aveva in orrore lo Stato come concetto (ero daccordo con lui pienamente su questo) e i relativi abusi istituzionali. Quasi come Genet, non si limitò a teorizzare il dissenso, ma precipitò se stesso in una prassi violenta e scandalosa, apparentemente in contrasto con il suo moralismo anti-capitalista e anti-marxista, vivendo sino in fondo questa straordinaria energia distruttiva e soprattutto comprensiva della sua propria autocorruzione.
Una metastasi che sbriciola qualsivoglia tentazione d'appropriazione ideologica estetica di destra o sinistra. PierPaolo ha odiato il prossimo suo come se stesso. Da qui, alla fine, la più solare, nostrana, immedesimata interpretazione del fantasma sadiano.
Sade (la più alta figura etica della storia umana) è criminale nella scrittura. Pasolini nella vita.


Ti impressionò particolarmente la morte di Pasolini? Il modo in cui morì?



Mi spiacque moltissimo. Eravamo molto amici. Ma sapevo che sarebbe successo. Era il 75 e recitavo Amleto a Milano. Un coglione mi diede la notizia nell'intervallo tra i due tempi. Nei giorni seguenti recitando a Napoli, succedeva di tutto, sputi in platea, giovani che si ammutinavano: ridacci Pasolini!
Le giovanissime generazioni stavano della mia parte. Per loro, la morte di Pier Paolo era una gravissima perdita. Lo invocavano. In qualche modo ci identificavano...Se l'è cercata lui questa fine. Sapevo che una volta o l'altra non sarebbe uscito vivo da uno di questi incontri. Sono giochi pericolosi. Si sa già. Lui lo sapeva. Il resto è materiale per la magistratura, ma è morto. Morto per sempre.

Cosa c'era intorno a voi?

Tutto un altro ambiente quello rispetto ad oggi. Se non altro c'era uno strato culturale attorno, senza il quale non sboccia mai niente, ne rose ne spine. Con il vuoto attuale si affollano solo prodotti da supermercato.
Al di là dei critici, trovavo in loro le mie verifiche umane. Ne avevo bisogno. Confrontarmi con chi stimavo. Oggi, con chi mi confronto? Il vuoto assoluto. Anche per questo è inutile andare in scena. In Francia trovai Deleuze, Foucalut, Mandiargues, Lacan, Dalì, Klossowski. Nel frattempo in Italia erano spariti tutti. Penna, De Chirico, Flaiano, Turcato, Moravia, Morante, Landolfi, Eduardo de Filippo, Pasolini. Muoiono tutti in pochi anni. Nessuno li ha rimpiazzati. Basta uno di questi, sai, per attenuare la tirannia delle plebi, questa carneficina inutile, di sterminati ettari di carne senza concetto.


- trascrizione da: 'Vita di Carmelo Bene' di Carmelo Bene e Giancarlo Dotto (Bompiani)