domenica 13 febbraio 2011

la visione come abbandono

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Inland Empire è stata una dura esperienza anche per tanti accaniti fan lynchiani, qualcuno ha detto: “..andare oltre a qualsiasi cosa non è sempre un bene.. alla fine stiamo parlando sempre di cinema. Se si prendono tutti i dogmi del cinema e si distruggono non si sta più facendo cinema, ma si sta facendo altro, che aimè non mi riesce classificare..”.
Ecco. Proprio questo è il punto centrale della riflessione intorno a Inland Empire, ed è il motivo della nostra scelta.
Oltre a superare alcuni aspetti del cinema stesso (qualche altro spettatore si chiedeva: Lynch eccedendo così tanto ha elevato il cinema e gli spettatori sopra di esso o ha elevato solo se stesso?) è anche un film innovativo (intendo oltre che strutturalmente anche tecnologicamente, tutto girato in digitale), definito dal dizionario del cinema come “Un'esperienza sensoriale disturbante e sconvolgente nei meandri della mente”.
Il disaccordo tra gli spettatori (anche tra i fan), il giudizio frettoloso della miope critica, ci conferma che l’autore è perfettamente riuscito a creare il capolavoro che voleva: l’unanimità ci avrebbe preoccupati, il nuovo deve disorientare, non sarebbe tale altrimenti...scontate le risatine, lo sconcerto, l’esodo dalla sala a fine proiezione; ma anche la paura, gli sguardi allucinati, sconvolti, persi.
Lynch non lancia messaggi, non vuole insegnare nulla, il suo lavoro lo fa pensando temerariamente a sé e non allo spettatore: per questo Inland Empire più di tutti, potrebbe essere il suo ultimo (per la forma totale e poi perchè dopo queste tre ore senza compromessi chi avrà il coraggio di produrne altri?).
Un'esperienza più che una semplice visione. Un film non organico, non lineare, un flusso audiovisivo di pensiero di un artista, che non richiede spiegazioni, ma solamente intuizioni, emozioni personali, al di là del positivo e del negativo. Un lavorio de-strutturante anche molto filosofico. Si potrebbe parlare di mondi paralleli, di sovrapposizione fra arte e vita, veglia e sogno, realtà e finzione che si fondono, si incontrano, si abbandonano, di cinema e di digitale, del concetto del Tempo non sequenziale, assoluto.
Ma il film non si svolge solo in un modo e in un mondo. Ci sono innanzitutto più modi di attraversare vari mondi.
Il mondo del sogno sicuramente, intendendo con ciò anche quello dell'incubo, il mondo intimo dei personaggi, il buio dentro della protagonista.


Poi c'è l'idea dei mondi possibili, dei mondi alternativi; ogni vita in realtà prende molti bivi e costruisce tante possibilità per sceglierne poi soltanto alcune; ma anche queste possibilità inevase non intraprese continuano a interpretare parte della nostra esistenza; "il giardino dei sentieri che si biforcano" come il titolo del racconto di Borges, anche se a volte le situazioni oltre che biforcarsi finiscono per tornare su se stesse (anello di Moebius).
Rispetto a film come Strade Perdute, in Inland empire la struttura non segue lo schema: inizio-biforcazione-intreccio-ritorno al punto iniziale; ovvero questo schema c'è, ma è continuo e più contorto.
Probabilmente già Mullholand Drive preannunciava quest'ultimo percorso di Lynch anche se il suo stile è rimasto.
Stavolta il sonno della ragione però è ancor più profondo, ed i mostri generati ancor più liberi di muoversi all’interno di un labirinto dalle pareti molto sottili..
Lo spettatore viene proiettato in una casa dagli specchi infranti, allestiti in modo da riflettere immagini irrimediabilmente distorte, disposti in guisa tale da giustificare, onde poi negarlo subito dopo, ogni tentativo di ricostruire un percorso lineare.
Questo è forse il film di Lynch che meno permette di risalire alla trama comunemente intesa, il più complesso per chi si voglia sforzare di ricostruire il puzzle, con elementi ancora più frammentati e dilatati (il film dura quasi 3 ore). Alcuni elementi lynchiani rimangono: colpa e responsabilità, delitto e castigo, impossibilità a sfuggire alle proprie colpe, Astrazioni-Spettri o Fantasmi quale (inutile) via di fuga o (talvolta) oggettivazione di stati d'animo.
Il tempo si perde e sparisce uno spazio per contenerlo, ci si affaccia a realtà mutabili, non definite; il montaggio distrugge i percorsi logici ribaltandosi e perdendosi nella dislocazione del potere (perduto) del tempo (“se oggi fosse domani”).
C'è in realtà anche in Inland Empire la possibilità di trovare la linea generale della storia. Sarebbe possibile analizzare quasi tutti i frammenti del film, trovare gli incastri fra gli universi attraversati, giungere alla tela finale. Si potrebbe banalizzare così come fa il trailer: “una storia di una donna in pericolo e il buio delle sue paure e del suo inconscio”. Ma non è quello che vedrete nel film. E quest'operazione di ricostruzione non è interessante per quello che è l'Opera.
Durante il film complessivamente la storia si rivela, anche se frammentata, ma conoscere una versione dei fatti non serve comunque: quello che non sappiamo subito è davanti ai nostri occhi, ciò che non si capisce è già dentro di noi. Ma non lo sappiamo spiegare, ne capire. Per qualcuno se non c'è niente di comprensibile, allora nel film non c'è nulla. Eppure dentro di noi c'è, esiste, quel qualcosa che vive al di fuori del mondo della parola, oltre l'abitudine e i significati: un caos destabilizzante e sconcertante, che moltiplica il piacere della fruizione estetica; c’è la paurosa estasi dello smarrimento; e non è cosa da poco.
Lynch è arrivato nei suoi ultimi film a vivisezionare il cinema: con il corpo di Inland Empire, invece, si è proprio divertito a fare il chirurgo pazzo: ha decomposto totalmente ed in maniera impressionante quello che noi chiamiamo "film", ha invertito le posizioni, per dare infine vita a questo "nuovo essere". Questo “nuovo” è difficilmente definibile.


Il film è buio, si muove sotto mura di un universo oscuro, eppure la visione del mondo è più ampia e complessa (non è un thriller o un horror), non riassumibile, con zone di luce e zone di buio che si contorcono.
Inland Empire possiede un’unità compositiva e un’organicità strutturale che rischiano di passare inosservate se il film è descritto solo come una semplice giustapposizione di sequenze assurde e paradossali – per quanto magistralmente congegnate e girate. Considerarlo esclusivamente illogico, surreale, delirante, significa fargli un torto enorme, significa non riconoscere le suggestioni trascendentali che lo rendono anche un percorso di illuminazione liberatoria.
Inversamente, interpretarlo secondo una chiave rigorosamente psicologica – come una sindrome dissociativa - significa ingabbiarlo in uno schema intransigente, finendo per soffocarne le risonanze spirituali, fortissime.
Inland Empire è un film incomunicabile. Non incomprensibile. Ma incomunicabile.
Lo spettatore, per quanto testimone del film, non avrà la possibilità di raccontare ciò che ha visto, ciò da cui è stato posseduto nel suo abbandono all'immagine, usando le parole.
Un critico non riuscirà mai a scriverne una recensione con trama...Inland Empire è un Opera non comprensibile a chi la vuole descrivere.
Se per certa psicologia “l'inconscio si articola come il linguaggio”, allora come affermava Carmelo Bene vale anche l'inverso: “il linguaggio si articola come l'inconscio”.
Lynch disarticola il linguaggio, ne indaga i buchi neri, lasciando lo spettatore nell'unico stato possibile, ovvero nell'abbandono.
Non bisogna giudicare, cercare il messaggio, indagare la trama, o addirittura valutare se il film è ottimista o pessimista; bisogna invece subirne l'effetto, superare le strutture a cui siamo abituati nell'ordinario del cinema e della televisione, lasciarsi attraversare del flusso audiovisivo.
La visione di Lynch quindi come abbandono, all'immagine.
“Lasciate che sia il film a guardare voi”
Ogni film di Lynch infatti sviluppa una propria capacità di argomentare attraverso l'immagine: noi spesso diciamo che siamo nella "società dell'immagine", siamo circondati e bombardati da pubblicità da internet dai media, ma perfino noi giovani abbiamo ancora una bassissima capacità di interpretarla e soprattutto una bassa fiducia in quello che è il potere dell'immagine, nella capacità che l'immagine ha nel costruire pensiero, nell'elaborare delle tesi, senza per forza riportare tutto nella parola.
Il Maestro non vuole più sentir parlare.
Non è un’interdizione a costruire senso attorno a quelle immagini, ma, al contrario, un’esortazione a de-strutturare e de-costruire, a tracciare percorsi semantici fluidi, traiettorie divaganti e, soprattutto, soggettive.


Il cinema di Lynch su questo è esplosivo, supera il linguaggio, fa dipartire tutta una serie di derive stilistiche e narrative molto innovative (tra l'altro non esiste copione), e poi è caratteristico sul piano psicologico: i personaggi non vivono un identità risolta definitivamente, ma c'è una concorrenzialità fra soluzioni narrative e visioni del mondo nei personaggi che non trovano mai pace, mai sintesi.
Si centrifugano i ruoli, gli attori, gli sguardi si fanno ciclici, circolari, si (ri)guarda se stessi dal presente che è già stato futuro, si confondono le battute (ora pronunciate da un personaggio, ora da un altro, e poi ripetute più volte come a cercare un ancora su cui fare perno), i corpi degli attori appaiono come inerti, feticci sequestrati per l’attimo utile a farli funzionare.
Essere-altro (da sé) coincide o può coincidere con il suo esatto contrario, il buio assoluto di un sentiero che può (non) condurre in nessun luogo (in particolare), in un altrove (anche filmico) spaesante; l’io diviene assolutamente altro, “altro” che è costretto ad affrontare visivamente prima di riconoscersi (“Mi avete già visto prima?”) in tutta la sua alterità, o forse come figura duplicata della coscienza.
Nel film non c'è mai la possibilità di portare un concetto a termine, le situazioni non si realizzano, e in questo squilibrio lo spettatore rimane al centro, vibrato e teso, fra le varie soluzioni lasciate aperte, irrisolte, passando attraverso questi mondi finzionali come liberazione di emozioni, di tensione o di ansia.
In questo la musica dei film di Lynch è centrale, rappresentando in pieno quest'idea di lasciarsi invadere dalle sensazioni; il suono penetra dentro di noi ed è per questo che è lo stesso regista a scegliere, mixare e in parte creare la musica per i suoi film.
A questo straordinario bombardamento di immagini e suoni lo spettatore non può non reagire e perdere l'orientamento. Questa sensazione di squilibrio è sempre più rara nel cinema.
Inland Empire è un'esplorazione, un esperimento, un varcare i confini noti e verificarne la possibilità e i limiti. Distruggendo il cinema. Un capolavoro.